In Consiglio Regionale si discute del DDL 182 sulla “Tutela della fauna e gestione faunistico-venatoria”, un tema sul quale sarebbe utile uscire dalla retorica ideologica. Luca Bona“I cacciatori sono organizzati sul territorio e fanno attività di manutenzione, salvaguardia, presidio, controllo della viabilità e antincendio”.
Da “male assoluto” a parte della soluzione, l’evoluzione possibile della caccia 2.0
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Nei giorni scorsi il Consiglio Regionale del Piemonte è tornato a discutere del Disegno di Legge 182 sulla “Tutela della fauna e gestione faunistico-venatoria”, un testo licenziato in gennaio che inevitabilmente ha riacceso le mai sopite polemiche fra gli schieramenti pro o contro la caccia, ma che anche nel merito di una discussione vecchia come il mondo, meriterebbe un approccio meno ideologico e molto più pragmatico. Le domande da porsi sono semplici, ed altrettanto semplici dovrebbero essere le risposte.
Esistono problemi di sovrappopolamento di alcune specie? In molti casi, l’incontrollato proliferare di queste (si pensi ai cinghiali o ad esempio le nutrie), causano danni evidenti all’ecosistema ed all’agricoltura locale? Per far fronte a questi danni, sono necessari interventi selettivi? Chi esegue gli abbattimenti e quanto costa alla collettività? L’impegno dei dipendenti di enti pubblici che provvedono a mantenere un equilibrio più controllato della fauna, sono sottratti ad altri compiti che restano dunque inevasi?
A queste domande dovrebbero rispondere gli amministratori pubblici, cosa che in parte ha provato a fare nel suo intervento del 24 aprile scorso, il neo Consigliere Regionale novarese Luca Bona, che prima di inoltrarsi nei suoi ragionamenti ha voluto premettere di “non essere un cacciatore” proprio per uscire dalla retorica nella quale inevitabilmente cade la politica a proposito del tema venatorio. “I cacciatori sono organizzati sul territorio e fanno attività di manutenzione delle aree, soprattutto montane, di salvaguardia di presidio e di controllo sia della viabilità sia delle aree gerbide, e quindi anche in funzione antincendio – ha detto Bona nell’aula di Palazzo Lascaris – sono tutti aspetti che vanno assolutamente considerati, anche in virtù del fatto che questa gente paga la possibilità di cacciare e fa del volontariato, perché spesso di questo si tratta sui nostri territori”.
Non si tratta dunque di ritornare a discutere delle implicazioni etico, filosofiche o morali, che l’abbattimento di animali comporta, per quanto sia assolutamente doveroso il rispetto di quelle sensibilità ambientaliste che giustamente ne hanno fatto e ne fanno, una battaglia politica di principio etico. Si tratta di occuparsi di problemi pratici a cui la politica è chiamata a far fronte, che riguardano gli equilibri degli ecosistemi, i danni ad una agricoltura non intensiva che potrebbe avere sviluppi sul piano dell’occupazione, proprio nella direzione della sostenibilità (argomento sensibile anche al mondo ambientalista). C’è un problema di sicurezza stradale (incidenti causati da animali in attraversamento); di abbandono al proprio destino di interi territori rurali, che attività come quella venatoria potrebbero invece aiutare a presidiare. Dal punto di vista di chi amministra le risorse pubbliche, soprattutto in tempi di ristrettezze, c’è il dovere di razionalizzare senza sprechi inutili e soprattutto senza far venire meno servizi e bisogni dei cittadini e del territorio. “Si fa ricorso al personale pubblico atto a sorvegliare, o direttamente ai dipendenti del Parco – ha confermato nel suo discorso il consigliere Bona – questo provoca innanzitutto un incremento in termini di spesa pubblica perché ovviamente si pagano gli straordinari, si paga la presenza del personale pubblico sui territori, il carburante dei mezzi e tutto ciò che concerne le attività extra”.
Se alla fine il personale pubblico oltre al presidio ed al controllo del territorio, è impiegato nell’abbattimento selettivo della fauna fuori controllo, non sarebbe utile e saggio coinvolgere le associazioni venatorie, anche per risparmiare preziose risorse, anzi introitandone di nuove?
La Provincia di Novara sta sperimentato questa via con un tavolo di coordinamento che coinvolge i parchi naturalistici e le loro guardie, le associazioni agricole, i comuni e le Atc che si ritrovano periodicamente per gestire il fenomeno insieme ai cacciatori, i quali seguono un corso per essere autorizzati ad affiancare le guardie provinciali nell’opera di abbattimento selettivo.
Responsabilizzare i cacciatori, separando le indubbie zone d’ombra ed i comportamenti “contra legem” (si pensi al fenomeno del bracconaggio); portando il mondo venatorio ad un coinvolgimento nella gestione, ad una maggiore presa di coscienza sul tema ambientale, facendo nascere un concetto di caccia, controllata, qualificata e selezionata. Insomma se si tentasse di far diventare l’attività venatoria parte della soluzione e non più solo del problema?