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Al Coccia “Il berretto a sonagli” nel solco delle rivisitazioni d’autore di Malosti

Domani, sabato 5 dicembre alle 21 e domenica 6 dicembre alle 16, per la stagione di prosa, va in scena al Teatro Coccia “Il berretto a Sonagli” di Luigi Pirandello.

L’adattamento di Valter Malosti affronta per la prima volta Pirandello confrontandosi con uno dei testi più popolari del grande drammaturgo siciliano e con uno dei personaggi più amati e controversi, cercando di strapparlo allo stereotipo e alle convenzioni e tentando di restituirgli la sua forza eversiva originaria, che vive in massima parte nella violenza beffarda della lingua, una sorta di musica espressionista e tragicomica e nei “corpi in rivolta” posti al centro della scena che è anche labirinto, una feroce macchina/trappola. Il titolo si riferisce al berretto portato dal buffone, il copricapo della vergogna ostentato davanti a tutti.

La storia si svolge in una cittadina siciliana dell’interno, nel tempo presente.

Nel teatro di Pirandello la macchina risponde in modo significativo a una funzione coercitiva per le ragioni dell’umano, quali che siano; esse devono piegarsi come davanti a una prova attraverso cui i protagonisti sono obbligati a passare, come davanti all’artificio di una legge che gestisce, organizza e comanda l’affettività di ciascuno, giustificando così la composizione del “pupo” evocata da Ciampa. In breve, la macchina produce la sua verità e impone ai protagonisti di sottomettervisi.

Ma come intuisce Jean Paul Manganaro: “quanto alla verità, quella autentica, si è persa, dispersa, infranta, da un soggetto all’altro, da un individuo all’altro. Si è fatta verità di ciascuno, inconfessabile, inafferrabile: così frantumata, riflette tutte le schizofrenie dell’individuo e della società. Per la prima volta sulla scena, Pirandello affronta uno dei motivi drammaturgicamente più importanti, quello dell’angoscia dell’uomo che appare con la crisi della coscienza europea. Tutto quanto succede, non è più un problema di credibilità dell’avvenimento – al punto che sapere se Ciampa uccide o meno, se diventa pazzo o no, sono domande che non attendono risposta, poiché l’atto resta, qui, sospeso come un “non voler giudicare” dell’autore: ci sono solo fatti, apparenti e ambigui, ai quali si tratta di dare una forma, ora la più opportuna, ora la più indecente.”

Questo spettacolo si inserisce nel solco delle rivisitazioni “d’autore” di Malosti, come era accaduto con il felice lavoro tratto da La scuola delle mogli di Molière, che era stato rappresentato con successo di pubblico e di critica, e per tre stagioni successive, nei principali teatri italiani. Anzi ne vuole essere idealmente il seguito dal punto di vista poetico, andando a formare una sorta di dittico (e in prospettiva ci sarebbe un Otello per completare una vera e propria trilogia).

Dice il regista: “Colgo nella pièce un carattere visionario come in Molière, e un andamento da farsa nera.

Ciampa è per me un buffone tragico, come il Nietsche di Ecce homo e l’Arnolphe de La scuola delle mogli. In Pirandello, più che una risposta, la pazzia, con i suoi artifici, con la sua messa in scena nel Berretto a sonagli, è una posizione umoristica, l’astuzia feroce di Ciampa consiste nel mimare per la signora Fiorìca l’esempio dell’abisso della follia, unica soluzione del debole, in modo che lei alla fine vi precipiti. “

Manuela Peroni Assandri