“Sono serena, tranquilla, in pace”. Dominique Velati, l’infermiera 59enne di Borgomanero, malata di cancro, a poche ore dal suo ultimo viaggio in Svizzera, si definiva così, perfettamente consapevole e convinta della scelta operata: quella dell’eutanasia, la dolce morte prima di vedere il proprio corpo e la propria mente deperire, giorno dopo giorno, in attesa di quella fine che, per Dominique, non è mai stata accettabile per la dignità di un essere umano. Dominique era un’agguerrita radicale: di quel partito condivideva le più dure battaglie, compresa quella del fine vita.
Ma Dominique era anche una volontaria, impegnata da tempi nel mondo delle cure palliative, un mondo che certamente ha contribuito alla sua decisione finale. La chiama “la Dominique”, Venerando Cardillo, presidente dell’associazione La Scintilla e dirigente del reparto Cure Palliative dell’Asl Novara. E la descrive così:
“La Dominique, oltre che amica, è stata un’instancabile volontaria, piena di mille attenzioni per le persone a lei affidate. Il destino ha voluto farle provare fino in fondo e di persona l’esperienza delle cure palliative, la paura, l’ansia e la necessità delle scelte del fine vita. Ha aiutato negli scorsi anni tanti malati e tante famiglie nel percorso della malattia inguaribile; ha accompagnato per mano molte persone nel momento più difficoltoso della propria vita insieme a medici ed infermieri delle cure palliative dell’Asl No, cercando di evitare l’esperienza dell’accanimento terapeutico o dell’abbandono, senza mai far pesare la sua personale opinione, ma offrendo un sostegno incondizionato e non ideologico. Alla Dominique nel decorso della sua malattia ho cercato di non dare soluzioni preconcette, ma gli elementi per poter decidere con serenità come affrontare la scelta da prendere, assicurandole comunque che non sarebbe mai stata abbandonata nella sofferenza. Nel fine vita, quando la morte non è più un’opzione, ma una certezza determinata da una malattia che prevede una prognosi a breve termine, Dominique ha scelto di affrontarla con dignità e consapevolezza. Avremmo voluto, per l’affetto che le portiamo, che fosse rimasta con noi sino all’ultimo, non anticipando neppure di un giorno la morte, seppur incombente, che non avesse rinunciatio a lottare, ma forse, come il parente che non sa rassegnarsi alla fine ineluttabile del proprio congiunto, forse avremmo sbagliato. Vorremmo comunque che la medicina palliativa si sviluppasse sempre più in Italia, perchè nessuna delle decisioni del paziente nel morire debba essere influenzata da scelte dettate dalla disperazione della sofferenza, o trovasse nella paura della stessa, motivo di una scelta”.