Di fronte ad un fatto come quello che ha colpito la città di Novara un paio di settimane fa, è chiaro che ciascuno esprime opinioni e pareri di fronte ad episodi che non ci si riesce a spiegare. E quando il proprio pensiero viene scritto sui social, allora la polemica si ingigantisce e si tende a trovare una spiegazione a tutti i costi, quando forse, in alcuni casi, una spiegazione nemmeno c’è. Succede per la morte di Andrea Gennari: qualcuno, sui social, l’ha definita “una morte annunciata“, qualcun altro si è limitato a protestare contro la cancellazione delle scritte dietro lo stadio in memoria di Andrea Gennari e il blocco dinanzi ai cancelli dello stadio di tifosi con manifesti e scritte dedicate al 44enne morto nella notte tra il 14 e 15 dicembre. In qualche caso, sono state utilizzate parole poco “gentili” nei confronti delle forze dell’ordine. La polemica si è fatta sentire al punto da indurre il Sindacato autonomo di polizia (Sap) ad intervenire per spiegare come funziona la giustizia in Italia: “Senza entrare nel merito della vicenda che è di esclusiva pertinenza dell’autorità giudiziaria, non si può fare a meno di notare come alcune persone abbiano pubblicamente sostenuto, a volte velatamente e altre in modo più deciso, che graverebbe sulle forze dell’ordine una sorta di responsabilità per non aver “fermato” per tempo il presunto autore dell’omicidio, giudicato “pericoloso”. Non è certo nella polizia che vanno cercate eventuali “responsabilità””. Il Sap fa riferimento a “diabolici meccanismi dei quali dà una spiegazione: “Immaginiamo che un individuo commetta un reato grave, punito con la pena altisonante di anni 12 di reclusione. Per meglio adattare la pena al caso concreto, esistono attenuanti e aggravanti. Benché le aggravanti siano più “sceniche”, la maggior parte delle volte vengono concesse anche numerose attenuanti. Quello che il cittadino non sa è che il giudice deve pesare l’importanza delle aggravanti e delle attenuanti, e se ritiene che queste ultime siano più significative, allora applicherà solamente queste, ignorando completamente l’esistenza delle aggravanti, anche se accertate ed esistenti.
Inoltre, una volta stabilito che le attenuanti sono prevalenti, queste vengono applicate “a cascata”. Ovvero: prima attenuante (ad esempio la “generica”, ovvero un fatto qualsiasi interpretabile positivamente): la pena passa da 12 a 8 anni. Seconda attenuante (ad esempio aver risarcito il danno economico causato col reato, anche se la vittima non fosse d’accordo con la cifra): la pena passa da 8 anni a 5 anni e 4 mesi. E via così.
Come visto, con sole due attenuanti, assai facili da argomentare, la pena è più che dimezzata. Ma non solo. Se l’imputato sceglie il rito abbreviato, come premio gli viene scontato un ulteriore terzo della pena e arriverebbe a 3 anni e 6 mesi.
E dopo aver scontato metà della pena, il carcerato può fruire della semilibertà, ovvero di giorno è libero mentre la sera deve tornare in carcere, solo per dormire. Ma prima di arrivare in prigione, la maggior parte dei delinquenti può fruire di una serie sempre più numerosa di bonus, frutto di una politica legislativa che negli anni ha deliberatamente deciso di evitare il carcere anche in presenza di reati gravi e reiterati: archiviazione per tenuità del fatto, messa alla prova, affidamento ai servizi sociali, detenzione domiciliare, sospensione condizionale della pena, libertà controllata, semidetenzione. Tutti istituti diversi che, applicati uno dopo l’altro, permettono a chi vuole delinquere di continuare, praticamente impunito, per anni.
Per non parlare della frustrazione che i poliziotti provano tutti i giorni di fronte a vere e proprie assurdità come quella che segue: un criminale viene arrestato, per un furto o una rapina, e dopo il giudizio di convalida viene posto agli arresti domiciliari presso la sua abitazione, anziché in carcere, perché sembra fornire sufficienti garanzie che non scapperà. Invece il criminale esce di casa quando e come vuole, tecnicamente è un’evasione, e quindi viene nuovamente arrestato. A quel punto si potrebbe pensare che sia il momento del carcere; invece, dopo il giudizio di convalida, gli vengono di nuovo concessi gli arresti domiciliari. Una vera presa in giro a cui dobbiamo assistere ormai sempre più spesso.
Nei momenti di rabbia e sconforto si cercano responsabilità ovunque, ma oggi, in Italia, nel 2015, le responsabilità per la mancata detenzione di un individuo che ha commesso reati possono essere cercate dappertutto, eccetto che nel lavoro delle forze di polizia”.