Celestino e Leila vivono a Novara da 15 anni circa: lui italiano, lei rumena ma con origini turche. La loro è una storia incredibile, assurda, dove si mischiano dolore e disperazione, ma anche la speranza di trovare una soluzione.
Hanno due figli: un ragazzo di 27 anni, disabile, e una figlia di 23 anni, a sua volta mamma e in attesa di un secondo figlio. Da ottobre, la famiglia sta vivendo una serie di drammi che metterebbero e dura prova chiunque.
Tutto ha inizio quando Celestino perde il lavoro: una storia come tante in questi ultimi anni, con tutte le difficoltà che ne seguono. Dall’affitto che non si riesce più a pagare, all’individuazione di un alloggio di emergenza, sperando che, nel frattempo, qualcosa cambi.
Consapevole dell’oggettiva situazione di emergenza, Celestino si rivolge al Comune per chiedere aiuto. Lascia il suo appartamento per il quale non riesce più a pagare il canone di locazione e si trasferisce, con il suo numeroso nucleo famigliare, al campo Tav, come da accordi con il Comune.
Tra quelle casette, dove la vita va avanti un po’ per inerzia un po’ sulla base della legge del più forte, dove basta poco a far scattare la scintilla e qualche volta la rissa, succede un giorno che fra due famiglie, una di origine rumena e l’altra sudamericana, nasca un contrasto forte. I motivi del contendere ora non sono chiari, ma la sostanza è che presto si finisce alle mani.
I sudamericani sembrano avere la peggio e quindi scappano rifugiandosi nella casetta di Leila.
Quest’ultima chiama prima i carabinieri, poi Celestino.
“I rumeni iniziano a prendere a male parole sia Leila sia mia figlia” dice Celestino “mentre uno dei rumeni percuote violentemente i figli della sudamericana”.
Una volta arrivato al villaggio, Celestino – stando al suo racconto – bussa all’alloggio della famiglia rumena per capire cosa sia successo e calmare le acque. “In cambio – dice – sono stato preso a bastonate con una spranga di ferro. Intervengono ambulanza e carabinieri”.
Celestino e Leila vengono portati al Pronto soccorso dove vengono medicati. Ne escono con 20 e 7 giorni di prognosi.
Il giorno dopo è la famiglia rumena ad allertare i carabinieri, asserendo che Celestino durante il parapiglia aveva un’arma. I militari arrivano a campo Tav e trovano fuori dalla sua casa una roncola “In effetti la stavo usando – dice Celestino – la stavo molando per falciare l’erba fuori dal mio alloggio. Ma dal verbale dei carabinieri, nessuna responsabilità mi viene imputata né per la rissa né per la roncola che mi viene comunque sequestrata”.
Eppure, dopo due giorni, la famiglia viene divisa e in parte allontanata dal campo Tav, dove rimangono Leila e il figlio disabile. Tutti gli altri, nipotina di 6 anni compresa, si devono trasferire alla Caserma Passalacqua, dove è possibile entrare alle 22 ed uscire alle 7. Una situazione insostenibile per qualsiasi adulto, figurarsi una bambina di quell’età, che per dormire utilizza coperte e giubbotti che le sono stati donati dai genitori della scuola Negroni e per la mamma della piccola che è incinta.
Un disagio forte che evidentemente viene notato tanto che mamma e figlia vengono autorizzate ad entrare al campo Tav come ospiti durante il giorno. Tutto sino ad oggi perché a dicembre viene comunicato che a fine gennaio ci sarà l’espulsione definitiva della famiglia dal campo.
“Il Comune ci ha consigliato di sottoscrivere un accordo tramite il quale avremmo avuto diritto, in caso di affitto di una casa privata, ad un contributo della Regione – spiega Celestino – Ma non c’è nemmeno un’agenzia che abbia voglia di spendersi per noi. Non lavoriamo, non abbiamo soldi da impegnare, nulla. Il Comune sta cercando una soluzione per Leila e il figlio disabile. Non sembrano esserci prospettive per i rimanenti membri del nucleo familiare”.
“Abbiamo anche interpellato un magistrato per avere un consiglio. Ci ha mandati in Procura per denunciare la situazione ed appellarci all’articolo 700 del codice civile. Non abbiamo trovato nessun avvocato che si prenda la briga di scrivere al Comune, intimando di provvedere al nostro caso. Non possiamo nemmeno presentare domanda di tutela legale, fino al 4 febbraio, ci hanno detto. Ma intanto i giorni passano e tra poco sarà anche peggio di oggi. Solo un maresciallo dei carabinieri, di stanza in Procura, ha ascoltato la nostra storia e ha telefonato al dirigente dei Servizi sociali del Comune. Il sindaco non ci ha mai ricevuti, nonostante abbiamo cercato di incontrarlo più volte. Siamo alla disperazione. Non sappiamo più a chi chiedere aiuto”.
“Siamo stati mandati via dal campo Tav, ma io non ho mai fatto del male a nessuno – si dispera Celestino – stavo difendendo la mia famiglia dagli insulti e dalle percosse. E invece mi trattano come se io fossi l’aggressore. E quella roncola? La stavo molando fuori dalla casetta. La usavo per tenere lontane le erbacce. Nessuno pensa alla manutenzione di quelle strutture. Io lo facevo da solo”.
Una storia purtroppo di ordinaria disperazione: persone che perdono il lavoro e, ad effetto domino, la casa, la famiglia, ogni certezza…
“Siamo a conoscenza di questo caso – spiegano agli uffici competenti del Comune di Novara – stiamo cercando una soluzione. Comunque, la ragazza è madre della bambina piccola è incinta e andrà a vivere con il compagno, anch’egli residente alla Tav”.
Per il resto della famiglia,”finché le forze dell’ordine non chiuderanno le indagini individuando il responsabile, non possiamo fare entrare al villaggio Celestino e le altre due famiglie coinvolte nella rissa. Abbiamo a disposizione in corso Risorgimento una decina di alloggi per genitori e disabili. Abbiamo messo madre e figlio in graduatoria e potrebbero essere assegnatari”.
Sono storie drammatiche, come tante ce ne sono a Novara.
Celestino, sulla sua strada fatta di tentativi di essere ascoltato e di trovare una sistemazione decente per la sua famiglia, ha trovato, per fortuna, anche chi sta cercando di aiutarlo.
Vincenzo è un novarese che sta provando a dargli una mano “Ci sono questioni pratiche e burocratiche – dice – che non tutti conoscono. Non è facile districarsi nella giungla della burocrazia. La cosa peggiore è che di storie come queste ce ne sono tante a Novara. Peccato che non sempre si arrivi al lieto fine”.
Auguriamoci invece che in questo caso vi sia una soluzione…