Accusato di spaccio nei boschi: “mai venuto nel novarese”. In aula un giovane marocchino residente in Lombardia arrestato dai carabinieri tre anni fa
Spaccio di droga nei boschi, ultimi testi al processo che vede in aula, chiamato dalla Procura a rispondere dell’accusa di spaccio, un ventenne di nazionalità marocchina arrestato insieme ad altri tre connazionali (già usciti di scena nell’estate di tre anni fa quando furono condannati, con rito abbreviato, a pene comprese tra sette e quattro anni) nel febbraio del 2016 a conclusione di complesse e articolate indagini dei carabinieri di Arona che avevano portato a scoprire una fitta rete di spaccio di cocaina, eroina, hashish e marijuana, che avveniva per lo più di notte, nel folto dei boschi tra Gozzano, Borgomanero, Boca, Cavallirio, Fontaneto d’Agogna, fino a San Maurizio d’Opaglio passando per Cavaglio e Prato Sesia. Nel corso del processo sono stati ascoltati molti ragazzi, che in quel periodo (tra il maggio del 2015 e il febbraio del 2016) erano stati identificati come acquirenti di un gruppo di spacciatori che “lavorava” in quelle zone boschive, ma nessuno di loro ha ammesso di riconoscere nell’imputato uno dei venditori. “In quegli anni compravo cocaina ed eroina con frequenza quasi giornaliera – aveva riferito uno dei ragazzi – Uno o due grammi alla volta per una cifra di 20, 30 euro; la acquistavo nei boschi di Fontaneto e i contatti per la consegna si prendevano per telefono, io avevo un solo numero, chiamavo e dicevo “uno di brutta e uno di bella” e poi ricevevo istruzioni per andare a ritirarla. Generalmente veniva fuori qualcuno dal bosco con la roba già pronta, solo in qualche occasione sono entrato io e me l’hanno confezionata sul posto. L’imputato? No, non lo conosco. Non l’ho mai visto”. Così anche molti altri ragazzi. “Non ho mai ceduto droga – ha detto in aula l’imputato, che in quel periodo abitava a Cantù – Facevo uso di hashish ma la droga la compravo a Cantù; non sono mai venuto nei boschi del novarese”. Ascoltati, come testi a difesa, anche due ragazzi, all’epoca dei fatti colleghi dell’imputato in un’azienda lombarda. “Non aveva la macchina – ha riferito uno di loro – Dopo il lavoro lo accompagnavo a casa io. In quel periodo lavoravamo insieme in un magazzino e spesso lavoravamo fino a tardi la sera”. Chiusa l’istruttoria si torna in aula a settembre quando la parola passerà al pubblico ministero e alla difesa.