Buongiorno
Novara

Al Fineral da Vèvar (il funerale di Veveri)

Per chi non fosse della zona novarese, Veveri è una frazione a circa tre chilometri dal centro cittadino. A congiungerla con la città, c’è un lungo e rettilineo corso denominato Corso della Vittoria; oggi quasi completamente edificato, attraversava, un tempo, ampi spazi campestri e la strada non era asfaltata, bensì in polverosa terra battuta. Partiva, dunque, il mesto corteo e lasciamo alla vostra e nostra immaginazione il tentativo di ricostruire il lato scenico dell’evento specie in una afosa giornata estiva.

Davanti, il carro funebre completamente nero con relativi pennacchi e trainato da un paio di cavalli rigorosamente neri. Dietro i partecipanti. La vedova, giustamente in lacrime, così come i parenti più stretti. Poi conoscenti e amici tutti, ovviamente in nero. La vedova, di solito anziana, si sforzava di mantenere il passo del carro, nonostante il dolore per la perdita e per il dolore di quelle stramaledette scarpe della festa usate solamente molti anni prima e che erano diventate stranamente strette. Così era anche per tutti gli altri e il camminare era diventato un ciondolare alla ricerca del punto meno doloroso dove poggiare il piede. I vestiti neri rivelavano che il corteo era in movimento da tempo, mostrando un velo di polvere sempre più evidente. Dai volti scendevano lacrime e gocce di sudore che segnavano con righe nere, il volto di tutti. L’apparizione aveva aspetti decisamente felliniani. E così il funerale faceva il suo ingresso tra le prime case popolari di ringhiera di Corso della Vittoria. Immancabile il richiamo. “Doni, doni, al riva al fineral da Vevar..!! ”

Chi ai davanzali, chi sui pontili o dai portoni, era tutto un apparire di volti che contemplavano il lutto.

Contemplavano e commentavano. n”oh povra dona, adess l’è dimparlè” ” Cul la a g’ha da vess al fradel” ” Va cum l’è vistì cula lì” ” Ma cula da fianc as guarda mia al spec?” ” Cula da drera mi la cunussi.. l’è na giblon..!!” e via discorrendo…

Se è vero, come è vero che il tutto per qualche momento diventava un vero e proprio spettacolo buono per qualche insana maldicenza e per del pettegolezzo da cortile, è anche vero che, una volta passato il corteo, non mancavano i segni della croce, i requiem eternam borbottati frettolosamente e qualche istante di sincero silenzio a ponderare sul dolore e sulla vacuità della vita.

Paolo Nissotti