Una mostra che sa di antichi tempi, riti e pensieri. Una mostra che racconta l’uomo e lo spirito e che di certo fa scoprire un mondo poco noto e un artista atrettanto poco conosciuto. Si tratta di «La pittura Warli. Un mondo incantato», visitabile a Spazio Vivace fino al 28 febbraio, la concezione cosmica e religiosa dei Warli, attraverso le opere del loro maggiore artista, Jivya Soma Mashé, raccolti e documentati da Maurizio Leigheb. Una mostra in cui immergersi per andare oltre l’aspetto tribale.
L’arte dei Warli, circa 400mila persone, uno dei 400 gruppi tribali dell’India, che vivono 150 chilometri a nord di Mumbai, è diventata famosa per le pitture murali raffiguranti la loro visione del cosmo, spiriti soprannaturali e scene di vita quotidiana. Sono dipinti eseguiti interamente in bianco, applicando una miscela di pasta di riso, acqua e gommoresina, che funge da legante, sulle pareti color terracotta delle capanne, anch’esse costruite con i materiali più semplici: rami, argilla e sterco di vacca. Un bastoncino di bambù viene usato come “pennello” per tracciare i motivi, basati soprattutto sulle figure elementari e simboliche del cerchio, del triangolo o del quadrato. Originariamente le pitture venivano realizzate durante la stagione dei matrimoni, che va da febbraio ad aprile e assume grande importanza nella cultura warli, rappresentando il momento culminante del ciclo della vita sociale e religiosa. In questa occasione le donne sposate, non vedove, chiamate savasinis, siedono a terra e una di loro comincia a tracciare, sulla parete adiacente l’entrata, delle linee orizzontali con uno stilo intinto nel colore bianco di pasta di riso. Poi traccia altre linee verticali, in modo da formare una specie di quadrato, che è la cornice del disegno, chiamato choukàt: esso rappresenta il cosmo che contiene il sole, la luna, le principali divinità e tutti gli esseri viventi e viene arricchito con decorazioni grafiche e simboliche, che a loro volta rappresentano i gioielli di Palagùta, la dea madre della vegetazione e della fertilità. Mentre le sacerdotesse presenti intonano canti propiziatori, altre donne, giovani e anziane, tra cui le nuore degli sposi, le aiutano a completare il disegno con figure umane e altri soggetti tradizionali.
La trasposizione su carta o tela dei modelli iconografici tradizionali, scene di vita, lavori agricoli, rituali e danze, ha consentito di conservare e tramandare uno stile che rappresenta uno straordinario affresco della loro esistenza e arte ancestrale. Una pittura monocroma, piena di ingenuità e fantasia, che continua ad affascinare, rievocando, nei suoi esempi più autentici, l’incanto della vita agreste e della concezione cosmica di questa pacifica gente.
Redazione Buongiorno Novara