Domani, nella generazione 2.0, non ci sarà altro che il prosieguo di quel che ci ha insegnato Darwin: l’evoluzione.
L’evoluzione del pensiero, delle idee nuove e vecchie a confronto, che l’immaginazione di qualcuno ha ricomposto in chiave innovativa e che per le prossime discendenze saranno concetti normali, quasi scontati, come se fossero da sempre esistiti.
Nel futuro, mediante lo sguardo sognante di ventenne, si intravedono intelligenze artificiali capaci di svolgere i compiti meccanici e si ammirano le meraviglie dell’uomo libero dalla servitù del lavoro, inteso come necessità vincolante, per il soddisfacimento dei suoi bisogni essenziali attraverso il denaro.
Quella degli attuali ventenni è una generazione che non si è lasciata definire da una semplice data all’anagrafe, o da un’appartenenza qualsiasi, non si è riunita attorno ad una bandiera, ad un credo politico o religioso, perché questa generazione è quella che ha la possibilità di cambiare il mondo e il linguaggio con il quale lo si esprime. Questa generazione è qualcosa di cui andare orgogliosi perché fanno parte gli uomini e le donne con la possibilità di essere i più forti e intelligenti nella storia del mondo, persone che nonostante tutte le difficoltà e gli ostacoli, nonostante le sfide che si trovano ad affrontare e le conseguenti paure che ne derivano, portano avanti i propri ideali con coraggio, portando spesso a termine i loro progetti con idee che venti anni fa neppure si potevano immaginare; mentre oggi sono qui, in concreto e spesso a portata di mano, a portata di smartphone. Si parla di una generazione contro la quale si punta continuamente il dito, la si osserva come un esperimento da laboratorio, curiosi tutti di vedere se e come riuscirà a sollevarsi, nonostante la si nomini come generazione dell’incertezza, del precariato, senza pensione, senza futuro. Ma spesso è opportuno domandarsi se non siano questi gli obiettivi reali di chi costantemente cerca il negativo solo perché il presente è diverso da quel che gli attuali adulti hanno vissuto.
I giovani della generazione “millenium” hanno a disposizione i mezzi più straordinari della storia per poter affrontare in modo creativo e ingegnoso i loro problemi e la cosa paradossale è che, spesso, questi mezzi vengono accusati, dicendo che è colpa di questi nuovi strumenti se non si è bravi abbastanza o se questi giovani stanno diventando troppo diversi da come gli adulti si sono sempre guardati allo specchio e da come si ricordano a vent’anni. Non è difficile leggere “inghiottiti da Facebook” o “intrappolati dentro whatsapp”, come se la tecnologia fosse una gabbia, mentre è tutto il contrario, è libertà.
Ci mette a disposizione esempi di uomini come Steve Jobs che grazie alle possibilità odierne hanno creato un impero dal nulla per sé e per l’umanità, persone che perseguendo le loro passioni, hanno fatto della loro professione non solo un impiego bensì un scopo, un obiettivo in continua crescita. “Siate affamati, siate folli” come disse il padre di Apple in quello che è ricordato come il suo più celebre discorso.
Le innovazioni telematiche ci dispongono esempi anche di soggetti più modesti che sono stati in grado di trasformare la loro vena artistica in un lavoro che li accompagna nel quotidiano, ma che svolgono col sorriso. La cosa incredibile è che basta un tweet per entrare in contatto con loro, è sufficiente digitare in rete il loro nome per scoprire ogni singolo passo che li ha portati dove sono ora.
Nella nuova generazione molti ragazzi hanno compreso il cambiamento in atto nel mondo e ce lo dimostra lo scrittore Fabio Genovesi con un’analisi svolta in diverse scuole italiane, creando una sorta di bilancio con i pensieri dei giovani. Il romanziere si è confrontato con ragazzi e ragazze aperti ad un mondo vario, cosmopolita, che non vuole farsi separare da ostacoli come distanze, lingue, orientamento sessuale o culture differenti; Genovesi ha avuto a che fare con giovani determinati nell’inseguire i loro sogni, senza doversi accontentare per forza o lasciarsi prendere dallo sconforto e dal vittimismo che annichilisce ogni slancio vitale, come avrebbe detto Bergson. I membri della nuova generazione hanno compreso che il famoso “posto fisso” non esiste più, ma non ne sono solo spaventati, sanno che se apporteranno un valore unico, l’azienda per cui lavoreranno non potrà fare a meno di loro. Hanno capito che la pensione non sarà una certezza, proprio per questo iniziano presto a crearsi fondi pensionistici privati con i piccoli risparmi mensili. Hanno realizzato che presto la robotica totale interesserà il 25% di tutte le imprese, ebbene, dal dato molti giovani non sono spaventati, anzi, esso può donare loro addirittura speranza. Poiché se è vero che potrebbero calare le occasioni lavorative, d’altro canto ci si interroga su cosa ci sia di umano in un compito che può svolgere una macchina. Questa potrebbe essere la giusta spinta per la creazione di nuovi impieghi che ancora non esistono, come continuamente accade al giorno d’oggi, dove la fantasia e l’immaginazione fioriscono di fronte alla possibilità della conoscenza a portata di mano.
Hanno scoperto che possono condividere e condividersi, temono sempre meno il confronto e mettono in gioco le loro idee, discutono e osservano con quello sguardo critico anche verso se stessi che aiuta la crescita personale, perché non devono più aspettare qualcuno che dia loro esempi, aprendo un social network hanno a disposizione una miriade di punti di vista e di situazioni differenti con le quali immedesimarsi, empatizzare o confrontarsi. Sanno che il futuro riserva molte sfide, ma non si lasciano paralizzare dalla paura, cercano di affrontarle.
Per superare con successo il percorso di crescita dei giovani, come suggerisce Ugo Morelli in un’intervista rilasciata nel 2015, è necessario che i ragazzi rivalutino il concetto di conoscenza, intendendolo non solo come un fattore nozionistico, ma “come riflessione, come disposizione a farsi domande, a esercitare il dubbio, a pensare l’inedito.” Morelli non fa altro che suggerire di decostruire il pensiero, analizzarlo a fondo e comprendere i presupposti su cui si fonda, se sono validi oppure se possono cambiare e dar quello stimolo che solo u’ idea nuova può suscitare.
Proseguendo, lo psicologo, sprona una rivoluzione in ambito educativo, nelle scuole, affinché insegnino principalmente “la capacità di apprendere ad apprendere”, affinché l’elevato tasso di analfabetismo funzionale presente in Italia veda finalmente un calo e tutti i fanciulli desiderosi di scoprire il mondo con viaggi, gite scolastiche o futuri Erasmus o Odysseus, si rendano conto di essere parte di un mondo da esplorare, unito nelle sue diversità e che non aspetta altro che qualcuno lasci su di esso la propria indelebile impronta.
Stefano Rossi