Delitto di Pombia, iniziato il processo. L’accusa chiede 30 anni per gli esecutori che hanno scelto di essere giudicati con rito abbreviato.
Trent’anni di reclusione: questa la richiesta formulata questa mattina davanti al gup dal sostituto procuratore di Novara, Mario Andrigo, per Antonio Lembo, trentenne difeso dall’avvocato Gabriele Pipicelli di Verbania, esecutore materiale del delitto, e per Angelo Mancino, 40 anni, difeso dagli avvocati Brustia e Cardinali, colui che, per l’accusa, era presente insieme a Lembo nei boschi di Pombia la sera in cui fu ucciso Matteo Mendola, 32 anni residente a Busto Arsizio. I due, chiamati a rispondere del reato di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, hanno scelto di essere giudicati con rito abbreviato. Per il terzo uomo, Giuseppe Cauchi, 52 anni, imprenditore edile nativo di Gela ma da anni residente a Busto, che per investigatori ed inquirenti sarebbe il mandante del delitto, assistito dall’avvocato Cosimo Palumbo, che non ha avanzato richiesta di rito alternativo, si deve ancora discutere la preliminare. Matteo Mendola, 32 anni fu barbaramente ucciso la sera del 4 aprile dell’anno scorso, freddato con due proiettili e poi colpito una dozzina di volte con il calcio della pistola e infine con una batteria d’auto. Il suo corpo era stato ritrovato casualmente da un pensionato la mattina successiva nei pressi del capannone di una fabbrica dismessa in frazione San Giorgio di Pombia. Sulla vicenda indagarono i carabinieri di Novara, coordinati dal sostituto procuratore Giovanni Caspani; pochi giorni dopo il delitto, l’11 aprile, era stato fermato Antonio Lembo, bloccato dai militari novaresi a bordo di un treno diretto in centro Italia. Il 26 aprile, in provincia di Arezzo era stato arrestato Mancino e infine, il 19 settembre fu la volta di Cauchi. Prossima udienza davanti al gup il 9 ottobre quando la parola passerà alle difese.