Delitto di Pombia, la parola alle difese. Al processo, che si svolge con rito abbreviato, oggi i legali hanno concluso le arringhe. Sentenza il 13 novembre
Udienza dedicata alle arringhe dei difensori questa mattina davanti al gup del tribunale di Novara per il processo, che si celebra con rito abbreviato, che vede imputati Antonio Lembo e Angelo Mancino per la morte di Matteo Mendola, 32 anni, ucciso la sera del 4 aprile dell’anno scorso nei boschi di Pombia. Per i due, chiamati dalla Procura di Novara a rispondere dell’accusa di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, il pubblico ministero aveva chiesto la condanna a 30 anni di reclusione; oggi il difensore di Lembo, avvocato Gabriele Pipicelli del foro di Verbania, ha chiesto per il suo assistito, reo confesso, le attenuanti generiche e il minimo della pena in considerazione del comportamento processuale, mentre i difensori di Mancino, avvocati Cardinali e Brustia del foro di Novara, hanno chiesto l’assoluzione. Mancino ha sempre ammesso di essersi recato quella sera con Lembo e Mendola nei boschi della frazione San Giorgio ma di essere totalmente all’oscuro di quel che sarebbe successo. Oggi è stata discussa anche la preliminare per il terzo uomo, Giuseppe Cauchi, imprenditore edile di 52 anni, colui che investigatori ed inquirenti reputano essere il mandante dell’omicidio, difeso dall’avvocato Cosimo Palumbo. Per lui, che non ha avanzato richiesta di rito alternativo, il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio. Si torna davanti al gup il 13 novembre, data per la quale il giudice deciderà per tutte le posizioni. Matteo Mendola, di origine gelese ma residente a Busto Arsizio, fu ucciso con due proiettili, poi colpito una dozzina di volte con il calcio della pistola e infine con una batteria d’auto. Il suo corpo era stato ritrovato casualmente da un pensionato la mattina successiva nei pressi del capannone di una fabbrica dismessa in frazione San Giorgio di Pombia.