Fake news e Coronavirus: quando a vincere è il buonsenso.
Lo spunto per questa riflessione mi arriva dalla “notizia”, ieri sera, della “scomparsa” di un conoscente “a causa” del Coronavirus. Notizia falsa, lo dico in premessa, ma che ha angosciato i famigliari, gli amici, le persone care e si è riversata nei telefonini di mezza città in un crescendo rossiniano di bufale… Il protagonista (suo malgrado) in questione è un noto imprenditore cittadino: poco più che cinquantenne, prestante, attivissimo e per quanto ne possa sapere io, l’esemplificazione del cosiddetto “ritratto della salute”. Insomma, in apparenza, esattamente l’opposto di chi, ci hanno insegnato in questi giorni, avrebbe più da temere da questa malattia (anziani già affetti da altre patologie, malati cronici…). Il che ha reso la “notizia” con tutta probabilità ancora più strabiliante per chi l’ha creata.
Il coprifuoco di questi giorni tristi ha reso impossibile ai suoi cari verificare i fatti, avere notizie certe nell’immediato, immaginiamo con quanta ansia e disperazione. Finchè un amico ha deciso di correre in ospedale per avere certezze, pubblicando poi sui social le rassicurazioni sul fatto che l’imprenditore era effettivamente in vita.
Ora, non vi è chi non possa vedere dentro questa storia grottesca tutti i limiti di un “sistema” di comunicazioni ormai ben oltre l’assenza di controllo. Per carità: non si tratta di un argomento “nuovo”, al contrario assai dibattuto, ma forse la presa di coscienza di una questione dai risvolti così devastanti è ancora ben lungi dal diventare “collettiva”, confinata com’è nel dibattito fra addetti ai lavori. Il che peraltro non esclude agli stessi “addetti ai lavori” di essere spesso vittime-carnefici di questo stato di fatto.
Sovente in queste situazioni sono svariate le motivazioni che possono portare alla creazione di una notizia falsa di queste dimensioni (la morte di un uomo a causa di un virus che atterrisce la popolazione e mette in ginocchio le nazioni): l’invidia personale, l’odio sociale, la politica, il razzismo e molto altro… Motivazioni che un tempo potevano avere la loro valvola di sfogo nel chiacchiericcio da ballatoio o da bar e che oggi amplificano l’oggetto della fake news in una valanga di condivisioni, di commenti, di ipotesi più o meno suggestive grazie alla potenza di fuoco della comunicazione globale. Con tutte le conseguenze del caso per i soggetti coinvolti, le loro famiglie, i loro affetti, la loro privacy violata.
Una questione che non riguarda più l’eterna lotta fra “chi” controlla il potere di orwelliana memoria, ma l’intera platea dei soggetti che, con i loro comportamenti e gli strumenti di cui dispongono possono alterare il piano della realtà percepita dai fruitori finali dell’informazione, in questo caso, falsa.
Sono migliaia gli studi, le ipotesi, le proposte che vorrebbero mettere un freno a questo stato di fatto, quasi tutte nella direzione di un restringimento delle libertà individuali, con tutti i rischi del caso, comprese le pericolose derive totalitarie, sempre in agguato. Piuttosto, nella nostra piccola storia, emerge un elemento straordinario che si chiama “spirito critico”: ovvero quello dell’amico che, probabilmente non convinto della veridicità della notizia, si precipita in ospedale per verificare quello che succede, smentendo quasi in diretta (sempre grazie agli strumenti di cui sopra) le voci ricorrenti. Una soluzione “facile” solo in apparenza secondo me – non solo per le difficoltà di mobilità di questi giorni -ma che richiede coraggio (quello di opporsi a ciò “che dicono tutti”), interesse e motivazioni (me ne occupo perchè mi riguarda e riguarda le persone a me care), buonsenso (non credo a tutto ciò che leggo, ma voglio verificare).
Insomma una piccola storia dicevamo, ma, a mio avviso, molto significativa.