La violenza, oggi, corre sui fili della rete. E lo fa con rapidità, immediatezza, ferocia. Al punto che gli episodi di bullismo, in questo ultimo periodo, si moltiplicano, tra la stupidità ed inconsapevolezza di molti giovani e l’assurdità di genitori in trincea a difesa degli aggressori. L’ultimo caso, quello di Cuneo, fa pensare: un bravo studente, un po’ schivo e meno intraprendente, magari, dei suoi compagni. Da questi viene preso di mira, umiliato, colpito nella sua dignità. Il video girato fa il giro dei gruppi di WhatsApp. La viralità di questi mezzi è spaventosa. I giovani aggressori si beccano la sospensione e un bel quattro in condotta. Loro, questa sospensione, la dimenticheranno, alla vittima, però, quelle umiliazioni gireranno per la testa per tutta la vita, pesanti come macigni dai quali difficilmente il ragazzo si potrà liberare. Eppure ci sono addirittura genitori che ritengono troppo dura la pena inflitta dalla scuola… Robe da non credere…
Il bullismo, come ancora di più il cyberbullismo, sono fenomeni diffusissimi: la morte di Carolina Picchio è lì, ferma e determinata, a ricordare che questo genere di violenza, sia essa fisica, verbale o psicologica, non deve essere sottovalutata perchè può portare a disagi e gesti estremi.
Facebook, WhatsApp, Ask, YouTube, sono i nuovi spazi nell’ambito dei quali si sviluppano le aggressioni, e sono quelli più pericolosi perchè la rapidità con cui si diffondono è incredibile.
“Il cyberbullismo non è un fenomeno legato alla classe sociale, alle condizioni di disagio famigliare – spiega la senatrice Elena Ferrara, da anni impegnata specie a livello legislativo sul tema – Il cyberbullo, come pure la sua vittima, può essere chiunque. Questo perché la rete, con la sua apparente distanza dal mondo reale, consente a chiunque di agire da bullo e, peggio, veicola i messaggi, le immagini e i video con tale velocità da banalizzarne i contenuti. Il fenomeno della spettacolarizzazione della violenza, tanto analizzato negli ultimi 30 anni da un punto di vista televisivo, oggi è a portata di mano: nella tasca dei jeans dei nostri figli, fin dalle scuole primarie“.
“Questi episodi mi danno ancora più motivazioni per insistere nel percorso intrapreso con il ddl 1261 per il contrasto e la prevenzione del cyberbullismo, approvato all’unanimità in prima commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama. Questa legge, che aspetta di essere discussa in Parlamento, dà la possibilità ai quattordicenni di segnalare direttamente un episodio di cyberbullismo ai soggetti che gestiscono i servizi new media. Se il contenuto lesivo non sarà rimosso sarà possibile rivolgersi al Garante della Privacy che, in caso di mancata risposta, potrà provvedere alla rimozione dello stesso. Per i reati compiuti da minorenni con età superiore ai 14 anni nei confronti di un altro minorenne è prevista la procedura di ammonimento. Un modo per intervenire prima della magistratura e nell’interesse degli stessi ragazzi, spesso autori inconsapevoli di comportamenti penalmente rilevanti“.
Al contrasto si deve però affiancare la prevenzione: “Secondo una recente ricerca di Skuola.net per la Polizia di Stato due ragazzi su tre chiedono più formazione nelle scuole – continua Ferrara – Il ddl, infatti, dà grande importanza al ruolo degli istituti: un referente almeno per ogni autonomia scolastica che attraverso corsi di formazione per il personale docente dovrà garantire l’acquisizione di idonee competenze nell’ambito di azioni preventive a sostegno del minore. Anche l’educazione all’uso consapevole delle rete trova continuità nel piano dell’offerta formativa per i ragazzi di ogni ordine di scuola“.
Uno strumento straordinario, la rete, ma ai ragazzi serve una bussola per navigarci. “Sono tantissimi i minori, spesso minori di 10 anni, che usano internet privi dei più banali strumenti cognitivi e culturali indispensabili per tutelare se stessi e i propri coetanei. Le prime violazioni riguardano i dati personali, ma le ipotesi di reato si spingono ben oltre: dalla sostituzione della persona alla minaccia, fino all’istigazione al suicidio. Reati penalmente rilevanti, di cui, se non il minore, devono rispondere i genitori“.
Madri e padri dai quali devono partire sensibilizzazione, attenzione e supervisione rispetto ad un mezzo che i figli potrebbero utilizzare senza la consapevolezza necessaria dei rischi e dei pericoli che purtroppo sono presenti in rete.
Il caso di Cuneo è emblematico: quei ragazzi, gli aggressori, non pensavano alle conseguenze. Hanno definito l’episodio un semplice scherzo fatto ad un coetaneo.
E’ molto di più, purtroppo: è una ferita che si è aperta in un giovane sbeffeggiato in modo umiliante attraverso un video che ha fatto il giro della scuola, e forse molto di più.
Una ferita indelebile che difficilmente quel ragazzo riuscirà a ricucire.
“C’è chi confina l’episodio nell’ambito dello scherzo, quando l’accaduto poco c’entra con la semplice ragazzata da gita scolastica. Le conseguenze psicologiche della vessazione online sono pesanti e dure da superare, perché, come scrisse Carolina prima di togliersi la vita nel gennaio 2013, “le parole fanno più male delle botte”. Questo devono capire i nostri ragazzi. Questo devono comprendere i genitori, spesso ignari di quello che i loro figli possono vivere sulla rete. Anche un semplice “mi piace” accostato a un post offensivo e violento è riprovevole, figuriamoci chi condivide sulla propria bacheca le “imprese” vigliacche di chi si accanisce sul più debole, fragile, ma anche invidiato del gruppo. I genitori che sminuiscono questi fenomeni non aiutano i propri figli nel percorso di crescita. Quando i ragazzi commettono tali azioni bisogna avere la forza e il coraggio di non operare distinzioni, nell’interesse delle vittime, ma anche degli stessi attori di comportamenti scorretti e lesivi. Anche semplicemente assistendo a questi episodi senza denunciarli o cercare di opporsi alla dinamica e alla sua diffusione ci si rende conniventi“.
Nel Novarese sono stati attivati percorsi di confronto e formazione attraverso la “peer education“, la prevenzione tra adolescenti: si tratta di iniziative che hanno messo in rete le istituzioni, il sistema scolastico, le forze dell’ordine, strutture sanitarie, associazioni. “Un patrimonio fondamentale che va messo a sistema per evitare dispersioni di risorse e di energie a beneficio della comunità e per veicolare quanto più possibile le best practices e le strategia riabilitative: non solo per le vittime, ma anche per chi, spesso in via inconsapevole, commette azioni proprie del cyberbullismo: un fenomeno mondiale“.