Si sono svolti oggi con la solenne cerimonia in Duomo i funerali di Francesco Caldara, il povero turista novarese morto insieme ad altri connazionali nell’attentato in Tunisia. Una folla commossa ha voluto partecipare a questo momento di lutto cittadino, insieme a molte autorità: dal Prefetto, al Sindaco, ai parlamentari, assessori regionali e comunali, consiglieri regionali e comunali, autorità militari.
Sgomenti i famigliari, provati dalla perdita e da questa terribile esperienza, sostenuti dai molti parenti ed amici intervenuti
Un lungo applauso è scattato alla comparsa del feretro all’uscita della camera ardente allestita al Broletto, accompagnata poi in corteo a spalle fino al Duomo, gremito come accade in rare occasioni.
“Francesco era uno di noi – ha detto monsignor Brambilla nella sua omelia – anzi è uno di noi, uno come noi. Forse ognuno di noi poteva essere là, come lui. La sua morte ci tocca profondamente, ci scuote e ci sconvolge perché assurda, incredibile, inimmaginabile. Un uomo che ha guidato tutta la vita bus, ha perso la vita proprio su un pullman, per la mano sconsiderata di fanatici che follemente hanno sequestrato il nome di Dio. Così è stato portato via agli affetti dei loro cari, della tenerissima figlia Greta, della sua carissima mamma Maddalena, del fratello Giacomo, della signora Sonia, che l’ha raccolto morente tra le sue braccia. Ci stringiamo forte forte a loro, piangendo con loro e cercando di lenire, con il balsamo della preghiera e della consolazione, il loro indicibile dolore”.
” Anche noi siamo Francesco. Egli è uno della nostra città, uno di noi, un lavoratore semplice, buono e generoso, com’è stato definito dai suoi colleghi di lavoro, che così lo ricordano con affettuosa partecipazione e vicinanza. Tutti siamo qui ammutoliti di fronte a questa morte, come dinanzi a quella degli altri circa venti che, in vacanza per un viaggio a lungo sognato, hanno perso la vita perché andavano a vedere un museo”.
C’è sconcerto e dolore nelle parole del Vescovo di Novara “Anche l’anima di Gesù è turbata quando, invece di glorificare Dio, usiamo persino il suo nome per uccidere: “non nominare il nome di Dio invano”. Gli uomini possono sequestrare anche il nome di Dio, abusarne, farne un idolo, così come possano usare un’ideologia, un interesse proprio per uccidere, per vincere sull’altro, invece di convincere l’altro con la forza delle proprie parole e dei propri gesti gratuiti”.
Per questo Gesù riprende un’immagine semplice, legata alla vita della natura, ma che prende forza per dare significato alla vita di un uomo e di una donna: «se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, porta molto frutto». Che immagine misteriosa! La vita dell’uomo vale se s’immerge nel profondo della terra, se vive nell’humus del proprio lavoro, della casa, degli amici, della citta, talvolta fino al rischio della vita, altrimenti rimane sola, resta isolata, inutile, un seme secco che non produce frutto. Noi ricordiamo così Francesco: come il seme buono caduto nella terra buona, che porta molto frutto! Noi restiamo turbati, spinti tra la rabbia e la paura, la rabbia di una morte così, la paura che la nostra società, che sembra così potente, non riesca a proteggere i suoi figli migliori”.
“Noi non sappiamo nulla di più, non possiamo fare nulla di meglio, nonostante i nostri mezzi potenti e tutto il nostro ingegno. Solo possiamo imparare dalle cose patite, sofferte, rubate al mestiere di vivere. Anche Francesco ha sofferto molto nella sua vita semplice e buona, aveva perso la moglie, aveva ritrovato uno spiraglio di serenità, ora lo affidiamo a Dio – come mi ha detto ieri sua figlia – nella luce del Padre”.
“La morte di Francesco ricorda alla nostra città, provata dalla sua inopinata scomparsa, che la vita di un popolo, di una città, delle nazioni, si fonda su un’alleanza, su un patto, su una legge, che va scritta nel cuore, che non bisogna scrivere solo sulla pietra (o sulla carta), perché così indurisce anche il nostro cuore come la pietra. Va scritta nelle relazioni, nell’amicizia, nella pace, nella fraternità, nella libertà. Queste grandi parole che spesso finiscono in -tà corrono il rischio di essere proclamate, ma poi smentite ogni giorno nei piccoli e grandi gesti della vita. Ci vuole la morte di un fratello, come Francesco, che ha portato la croce come il cireneo inconsapevole, semplicemente perché passava di lì, a ricordarcelo. A non farci dimenticare che la vita è un soffio se non costruisce legami buoni e fraterni, se si vive solo per sé: Francesco l’ha vissuto nella semplicità del suo lavoro e della sua famiglia. Per questo oggi sentiamo che abbiamo perso uno della nostra famiglia e la parte migliore della nostra città: quella che lavora e opera, senza fare rumore. Grazie Francesco da parte di tutti noi!”
“Francesco è morto, forse senza saperlo, rappresentando questo amore disarmato e disarmante del Signore crocefisso: in questo modo hanno persino sfregiato la sua sorridente immagine. Ormai Francesco è nel cuore del Signore risorto e tutte le volte che verremo qui lo vedremo accogliere tutti noi con le braccia aperte di Cristo”.