Un triste pomeriggio di febbraio del 1985, l’ingegnere Giovanni Di Domenico abbandona il cantiere dove stava lavorando.
Lo stanno aspettando ad Arona. Nella chiesa di Santa Marta c’è il funerale di un parente, non può mancare, ma in quella mesta funzione religiosa, Giovanni, non arriverà mai.
All’uscita di Baveno, sul rettilineo che costeggia il lago, una buca, forse un malore improvviso, rendono incontrollabile l’automobile che sta conducendo, poi uno schianto e il cielo, la terra e le mille cose che ti circondano svaniscono in un istante, tutto diventa rarefatto e nebuloso e la vita, come uno scherzo beffardo finisce lì, nel mezzo di una strada a fianco del lago Maggiore. Aveva 31 anni e una giovane moglie che in ansia lo stava aspettando.
Giovanni Di Domenico era nato ad Arona, il 2 maggio del 1954, ma le sue origini erano molisane; la sua famiglia, come molte in quel periodo (primi anni 50’) era arrivata dal sud con il treno della speranza, alla ricerca di una vita migliore, dopo tanto dolore e distruzione che la guerra aveva lasciato, specialmente in quelle povere terre meridionali.
Giovanni è ancora un bambino quando tira i primi calci al pallone con indosso la maglia azzurra dell’Arona, una maglia che terrà ben salda sulla pelle, dal campionato di serie D, alla serie C/2. Il suo debutto a soli 17 anni, in serie D, contro la Biellese; 232 presenze con l’Arona, record superato in seguito da Enrico Ragazzoni (portiere) e da Andrea Bortoletto (attaccante).
Ad Arona non si era mai visto un centrale difensivo (un tempo si chiamava stopper) così forte! Grinta, decisione negli anticipi, insuperabile nei colpi di testa, un’ incessante continuità agonistica, persino un gol – clamoroso per un calciatore che per il ruolo che ricopriva, raramente poteva permettersi di superare la metà campo – contro il Torretta Santa Caterina di Asti, un destro potentissimo calciato da fuori area, in quell’indimenticabile e lontano campionato di serie D, che vide il passaggio dell’Arona tra i professionisti.
Il crollo economico della società calcistica aronese, dopo due anni scintillanti di C/2, determinò il divorzio tra la squadra lacuale e il forte difensore che accettò, a malincuore, di lasciare quella gloriosa maglia, per lui una bandiera, una seconda pelle. La sua straordinaria carriera continuò nelle file del Trecate, poi al Borgosesia e infine nel Gravellona, sempre in serie D. Con la squadra tocense disputò il suo ultimo campionato, prima che sulla sua strada incontrasse il cinico e terribile destino, un avversario scaltro e invisibile che il forte Di Domenico, questa volta, non riuscì a fermare.
Al giocatore, molti anni più tardi venne dedicato il nome del vecchio stadio, oggi in demolizione.