In questi giorni in cui Novara ricorda e celebra il 166° anniversario della Battaglia della Bicocca, ci piace ricordare un personaggio che, forse, i novaresi di giovane e media età conoscono poco.
Parliamo di Giuditta Gallarini, sposata Agnelli, nata a Novara nel 1812, in una famiglia benestante. Giuditta nel decennio 1830-1840 partecipa a tutte le attività lecite ad una signorina di buona famiglia, ricevimenti, qualche festa privata, serate di gala al teatro Nuovo (“papà”del teatro Coccia), dove già riscuotevano grande successo le opere di Bellini, Rossini, Donizetti, Saverio Mercadante (per cinque anni maestro di cappella del Duomo novarese), il napoletano Carlo Coccia e i validissimi ma meno famosi Pacini e Ricci.
In quegli anni il novarese teatro Nuovo competeva con i maggiori teatri italiani, in testa a tutti la Scala di Milano; Giuditta, come le altre giovani nobildonne, palpitava per i celebri cantanti che si esibivano al “Nuovo”, il famoso tenore Duporez, la prima donna Elisa Moratti, Carolina Vietti, il tenore Gorla, Adelaide Gambaro, alla quale il poeta novarese Giuseppe Regaldi dedicò un delicato sonetto.
Nel 1841 Giuditta Gallarini, già ventinovenne (alla soglia di essere considerata “zitella”), conosce e sposa l’ingegnere Antonio Agnelli fu Giuseppe, ispettore forestale. Quando pronunciarono il fatidico “sì, l’ingegner Angelli contava già 55 anni. Vita coniugale serena e racconta, sino a quel fatidico 24 marzo 1849, il giorno tragico della Battaglia della Bicocca.
In quei pochi giorni di marzo la Battaglia della Bicocca e quel che ne seguì modificarono radicalmente la vita di Giuditta, allora 37enne. Ella, con altre caritatevoli e buone signore novaresi, fu una delle soccorritrici e infermiere pietose e materne per i tanti feriti dell’infausta battaglia.
L’elenco delle donne novaresi che spontaneamente offrirono le loro cure ai feriti negli ospedali e nelle chiese cittadine è lungo e meriterebbe un articolo a parte. Gli ospedali novaresi di quel tempo non bastavano per accogliere centinaia e centinaia di feriti, sia piemontesi che austriaci. Le autorità del tempo decisero quindi di allestire alcune chiese come ospedali di emergenza. Due di queste chiese furono quelle di Sant’Eufemia e di San Pietro al Rosario.
Proprio a Sant’Eufemia operò prevalentemente Giuditta Gallarini Agnelli. Ella era sempre presente ove c’era bisogno di aiuto materiale e di conforto spirituale. In più Giuditta spronava le altre signore alla carità e all’amore.
Gli storici dell’epoca raccontano che Giuditta curava, fasciava, rincuorava, pregava, scriveva per i morenti l’ultima lettera. Componeva le salme, raccoglieva instancabile il materiale di primo soccorso, denari, vestiti, coperte, fasce, lenzuola, tutto ciò che poteva servire in tale situazione di estrema emergenza. Fatiche indicibili, notti in bianco, emozioni continue, spettacolo quotidiano del sangue e della morte.
Giuditta si ammalò già nel corso del 1849. Una lunga dolorosa malattia durata oltre tre anni che ne minò il pur robusto fisico. Giuditta Gallarini Agnelli moriva nel gennaio del 1853, ad appena 41 anni, stremata dalla fatica, dalle sofferenze, con il pensiero sempre rivolto ai “suoi” feriti.
Fu certamente una protagonista della Battaglia della Bicocca, autentica eroina, considerata una delle prime se non primissime “crocerossine”. Giuditta è tumulata nella tomba della famiglia Gallarini, al cimitero novarese, nel secondo campo a sinistra.
La città di Novara le ha dedicato una via proprio nella zona della Bicocca ove fu combattuta l’infausta Battaglia.