Nell’asfittico dibattito politico-amministrativo che interessa di recente la città di Novara, più che altro occupato a tener conto del numero degli sfalci d’erba e delle potature delle piante, o della risoluzione del seppur fastidioso problema delle… deiezioni canine abbandonate per strada, irrompe il libro di Giovanni Gramegna, architetto ed urbanista ben noto in città, dal titolo (invero poco suggestivo) “Il piano regolatore di Novara – Storia, cronache e prospettive”.
Edito dal Fai (Fondo per l’Ambiente Italiano) di Novara e da Italgrafica, il testo fornisce un contributo importante per la lettura della storia urbanistica della nostra città, sia dal punto di vista cronologico, sia nei suoi contenuti, offrendo non pochi spunti di riflessione sul futuro. Sebbene scritto da un professionista che per anni si è occupato della materia (l’autore è stato fra i fondatori della Cooperativa G1, uno degli studi novaresi più attivi e presenti sul territorio) il libro è volutamente divulgativo, quindi destinato ad un pubblico non solo di addetti ai lavori, con l’obiettivo di “raccontare” la metamorfosi della città in un arco temporale di oltre 150 anni (assumendo come punto di partenza l’anno dell’Unità d’Italia e dell’allora censimento).
Una storia dapprima descritta nelle sue vicende cronologiche (l’autore d’altra parte è nato nel 1940!) che si fa via via racconto intenso ed appassionato mano a mano che Gramegna entra nel vivo degli accadimenti che ha anche personalmente seguito. Ovviamente un racconto “di parte”, laddove la partigianeria poco ha che vedere con le vicende politiche della città, quanto piuttosto legata ad una “visione” del contesto cittadino che si è evoluta con il susseguirsi degli eventi. Beninteso, l’autore non nasconde la propria appartenenza politica, ma offre spunti e suggestioni interessanti che vanno oltre il “colore” delle amministrazioni che si sono succedute alla guida di Novara. Con il rammarico, dichiarato, di non essere stato egli stesso protagonista diretto di quegli eventi quando rifiutò la direzione dell’Assessorato all’Urbanistica, proposto dall’allora sindaco Gianni Correnti “Forse oggi, a posteriori ed alla luce di quanto si è poi verificato (erano gli anni in cui cominciava a prendere corpo il nuovo piano regolatore della città), debbo sinceramente riconoscere l’errore della rinuncia e confessare il rimpianto di non aver potuto esprimere od assicurare, con la responsabilità diretta, un futuro diverso, ed a mo parere migliore, per questa città”.
La critica forse più incisiva di Gramegna è riferita al Piano regolatore del 2003 (approntato durante l’amministrazione Giordano e poi approvato, a seguito di un iter sofferto, ben cinque anni dopo), firmato dall’architetto Pagliettini “in pieno dibattito sulla riforma urbanistica a livello nazionale e regionale, al centro del quale erano posti i temi dello sviluppo sostenibile, del contenimento del consumo del suolo, della riqualificazione e rigenerazione urbana, della densificazione edilizia, della perequazione urbanistica e territoriale, della cooperazione fra pubblico e privato”. Secondo l’autore quello era il momento in cui “vi erano tutte le condizioni per fare un buon piano: per fermare il declino, per promuovere lo sviluppo della città, per migliorare la sua qualità ed immagine, per dare risposte adeguate ai bisogni reali della popolazione residente”. Tutti obiettivi mancati nell’analisi di Gramegna, con le conseguenze ormai drammaticamente attuali di un declino della città e del suo territorio che appare inarrestabile.
Pagliettini in verità aveva ricevuto l’incarico sin dal 1997 (amministrazione Merusi), riconfermato da Correnti e poi, appunto, Giordano nel solco di una continuità che già poteva rappresentare un’anomalia, considerato che giunte di diverso colore ed estrazione si erano susseguite alla guida della città… Ma tant’è!
Il risultato dell’analisi è che l’impianto del Piano del 2003 viene letteralmente fatto a brandelli da Gramegna, a partire dalla sua filosofia originaria, ovvero “Quella cultura di governo del territorio caratterizzata dalla mancanza di un proprio progetto e dalla sostanziale subalternità della Pubblica Amministrazione al cosiddetto libero mercato e/o alle aspettative delle diverse proprietà interessate”: dalle varianti di Corso Vercelli, Veveri e Corso Milano, ai bandi per “le manifestazioni d’interesse” sulle aree ex Macello e Centro Sociale fino alla variante di Agognate “finalizzata esclusivamente a dare soddisfazione alle aspettative speculative della proprietà” si tratta di iniziative tutte, secondo l’autore, figlie di quella logica e slegate da una visione d’insieme circa le reali necessità e potenzialità della città di Novara.
Iniziative che poi si concretizzeranno, in parte, con l’amministrazione successiva a quella di Giordano, ovvero quella del sindaco Pd Andrea Ballarè, che pure aveva dato all’autore qualche iniziale speranza di discontinuità. Un giudizio, quello di Gramegna sui fatti più recenti della politica urbanistica nella città di San Gaudenzio che si fa tagliente nell’analisi, ad esempio, della vicenda della (non) realizzazione delle aree industriali di Agognate, laddove si mettono a confronto le posizioni delle due ultime amministrazioni; da un lato quella leghista, con la previsione di un introito per le casse pubbliche di 24 milioni di euro, dall’altro quella di centrosinistra “con il calcolo di una quota di plusvalore da corrispondere al Comune di soli 4 milioni”. Il che porta l’autore a dire che, per questo specifico caso, “Giordano batte Ballarè 6 a 1 o se volete 24 milioni a 4!”. Scelte però “che sembrano ignorare i tanti capannoni vuoti, le ampie aree dismesse e l’enorme offerta di nuove aree per insediamenti produttivi che i piani regolatori vigenti esprimevano ed esprimono: otto milioni di metri quadrati entro i confini del Comune di Novara e nei Comuni limitrofi”. Il che porta a considerare che di nuove aree industriali su questo territorio non ve ne sia il bisogno (sebbene pare sia imminente da parte anche dell’amministrazione Canelli una nuova proposta che riguarderà proprio… Agognate!).
Partendo da un impianto originario “malato” (il Prg Pagliettini, appunto), è il ragionamento dell’autore, tutte le iniziative conseguenti appaiono prive di logica e sono causa di “lesioni e ferite gravi alla nostra città”: dall’elevato consumo del suolo, all’applicazione singolare delle norme sulle perequazioni, “all’atteggiamento culturale nei confronti dell’Università e dell’Ospedale o delle attività culturali, totalmente ignorate e per certi versi ostacolate dal piano…”. Lacune gravi che hanno riguardato il “sistema infrastrutturale viario e ferroviario, il nuovo Ospedale, lo sviluppo dell’insediamento universitario”, accompagnate da analisi “errate” circa la verifica ed il dimensionamento dei fabbisogni e delle previsioni per le aree a destinazione residenziale e produttiva e del relativo consumo di solo. Insomma un pasticcio!
La via d’uscita? Secondo l’architetto Gramegna esiste, purchè vi sia la volontà di proporre un nuovo progetto di sviluppo della città, alternativo al Piano regolatore vigente, coerente e realizzabile, in grado di restituire a Novara quel ruolo di “polo territoriale” , che prenda avvio dallo sviluppo dell’insediamento universitario (superando ad esempio l’attuale anomalia della “tripolarità” dell’Ateneo del Piemonte Orientale – ndr), della ricerca e dell’innovazione; che affronti i temi del rafforzamento dell’offerta dei servizi e delle infrastrutture.
“Noi ci troviamo in un momento storico in cui la formazione, la ricerca e la cultura sono diventati un tema centrale per lo sviluppo del nostro paese: e lo debbono diventare (o tornare ad essere) anche per la nostra città ed il suo territorio”. Il futuro – sostiene l’architetto – è nella “Grande Novara” nel solco di quanto previsto dal piano Territoriale Regionale approvato nel 2011, che suddivide il territorio piemontese in quattro quadranti: quello del Nord Est, (che comprende, oltre a Novara le province di Biella, Vercelli e Vco) è infatti definito “quello che presenta maggiori potenzialità e capacità di contribuire allo sviluppo regionale”. Un progetto di ampio respiro, con l’obiettivo di evitare “quella progressiva dipendenza da Milano, sotto forma dell’inclusione dell’intero Ambito nella periferia dell’Area metropolitana”. In una prospettiva di lungo termine Gramegna ipotizza anche il superamento dei confini di campanile, con la finalità di riunire in un unico Municipio gli attuali comuni di Novara, Casalino, San Pietro Mosezzo, Cameri, Galliate, Romentino, Trecate e Garbagna, realizzando così un agglomerato di circa 150 mila abitanti.
Insomma, scrive l’autore, “un progetto complesso per il quale, con una forte volontà politica, bisogna essere capaci di rappresentare le speranze migliori e le utopie concrete del nostro tempo. E, in questo senso e prospettiva, ciascuna comunità locale dovrebbe iniziare, da subito, a verificare , valutare, esprimere e proporre le potenzialità ed il ruolo del proprio territorio e contribuire così a definire quel progetto della “Grande Novara” in termini utili per l’intero territorio e le popolazioni residenti”.
Che questo rappresenti una reale opportunità per Novara è certamente un tema da approfondire. Vero è che questo libro offre un’occasione unica, ovvero quella di aprire un dibattito, qualificato ed importante sul futuro della città, sempre che la volontà sia quella di raccogliere la sfida! Insomma un tantino oltre il conto del numero degli sfalci d’erba…