La categoria del buono da mangiare è tutt’altro che scontata, perché uno stesso cibo o uno stesso piatto, possono essere considerati buoni da un popolo ma non buoni da un altro.
Per esempio in Italia mangiamo il cavallo, ma gli inglesi non riescono a pensare di mangiare la carne equina, oppure i cinesi mangiano il cane, le cavallette, i vermi, cose lontanissime da quella che è la nostra cultura.
Il concetto di buono da mangiare dipende molto dalla cultura a cui un soggetto appartiene, ma all’interno della stessa cultura ogni individuo mostra gusti diversi.
Non solo; uno stesso individuo può apprezzare o meno lo stesso cibo a seconda del momento o del luogo in cui lo consuma. Ad esempio lo stesso vino bevuto in un calice di cristallo, in un ristorante elegante, in riva al mare e con la donna della propria vita, darà una sensazione completamente diversa se lo si beve in un bicchiere di plastica, da soli, in una trattoria.
In definitiva questo buono da mangiare non è una qualità intrinseca di un cibo o di un piatto, ma è piuttosto la qualità di una situazione più ampia e complessa in cui questo cibo è il protagonista principale.
Una cosa certa è che il buono da mangiare non ha affatto a che vedere solo con il senso del gusto; nell’atto del mangiare non solo intervengono tutti i sensi contemporaneamente, e quindi si parla di omnisensorialità, ma anche aspetti culturali, emotivi, simbolici, psicologici, rituali, religiosi, che trasformano una pura azione materiale, in un vero e proprio linguaggio.
Iriada Gjondedaj