Quando la notte del 9 novembre 1989 cadde il Muro di Berlino nessuno aveva ben chiaro che cosa stesse in realtà succedendo. Anche le successive ricostruzioni storiche di quei giorni confermano il clima di sorpresa ed incertezza nel quale si consumò uno degli eventi storici più importanti del “Secolo breve”.
Chi c’era ricorda con nitidezza quegli avvenimenti e certo l’emozione di quelle ore fu forte, perché la tv rimandava immagini di gente semplice in festa, felice di condividere in mondovisione la libertà finalmente conquistata.
A noi che eravamo la generazione “più fortunata”, “disimpegnata” ed “edonista”, quella che non aveva vissuto gli orrori della guerra ma nemmeno le fatiche della ricostruzione, quella che “nonavetenemmenofattoilsessantotto”, che vedeva mano a mano affievolirsi le tensioni della “Guerra Fredda” e che poteva godere di un benessere diffuso, (perlomeno così era percepito) cosa fosse la realtà della Ddr non era chiaro.
A scuola si studiava dell’esistenza del “Muro”, delle ragioni (solo quelle ufficiali, ovviamente) che portarono ad erigerlo… Era evidente a tutti il clima di paura e di soffocante oppressione della popolazione della Germania dell’Est, questo sì, ciò grazie anche a tanta filmografia, letteratura e documentaristica che comunque denunciava questo stato di fatto…
Ma il sentimento diffuso era più che altro di stupore, misto al dubbio di non conoscere fino in fondo l’anima del popolo tedesco che per noi rimaneva relegato ai racconti di guerra dei padri e dei nonni e quindi non godeva di grandi simpatie… “Sono figli di quelli là, non sono diversi” sentenziavano i nostri anziani… Che lo si dicesse al bar è un conto… Ma in realtà oggi sappiamo che il timore era molto più diffuso di quanto non credessimo e che preoccupava governi e capi di stato (Inghilterra e Francia in primis), riottosi all’unificazione. “Amo così tanto la Germania che vorrei continuassero ad esisterne due” diceva Giulio Andreotti.
Eppure quella notte non sembrava così… Soprattutto quelli di noi più giovani credevano davvero che da quelle macerie potesse sorgere uno spirito nuovo, quello di una vera Europa unita. Era anche il sogno di una generazione, quella che appunto sino ad allora non sembrava aver prodotto un granché in termini di nuove conquiste, continuamente accusata di aver vissuto di rendita e che “nonavevanemmenovissutoilsessantotto” (visto che in quegli anni c’eravamo nati…). In effetti ci avremmo messo tutti molto poco a capire che il sogno poggiava su basi fragilissime. Forse con il senno del poi solo sull’onda di un’emozione perché la realtà era comunque ben diversa.
A questo si aggiunga che negli anni successivi la Germania non ha effettivamente esercitato il ruolo di collante dell’Ue che le speranze legate alle immagini del 9 novembre potevano far presagire, semmai quello egemonico del padrone del vapore, che ha piegato alle proprie necessità quelle di tutti gli stati membri. I quali non hanno reagito con la pretesa di costruire un progetto europeo unitario, ma hanno preferito acconciarsi cedendo mano a mano quote di sovranità nazionale, al punto da non essere più in grado oggi di tutelare i propri legittimi interessi, anche di fronte ad una crisi devastante.
Che questo lo dica io, sull’onda del ricordo di un’emozione vissuta in una serata della mia gioventù di tanti anni fa, non ha molta importanza. Ma che oggi questa dell’occasione perduta sia stato il pensiero comune a molti giornalisti e commentatori impegnati nella rievocazione dei fatti del 1989 lascia piuttosto sconcertati.
Poteva nascere l’Europa su queste basi?
Francamente era improbabile. Così mentre la signora Merkel faceva la sauna nelle ore fatidiche della caduta del muro e noi osservavamo divertiti i tedesconi in sandalo e calzino bianco ingurgitare piadine e “Kappuccino” sulla riviera romagnola, mentre i nostri compagni di scuola facevano il filo alle tedeschine disinibite, si consumava il tragico fallimento di un’unificazione, quella europea, mai esistita, mai voluta, mai capita fino in fondo.
Ci sono voluti 25 anni per prenderne consapevolezza. Meglio tardi che mai. Ma certamente quello della notte del 9 novembre fu un sogno durato davvero poco. Un sogno infranto…