Il maialino veniva acquistato verso marzo/aprile in modo che dopo dieci o undici mesi fosse ingrassato al punto giusto.
Ci si aiutava tra famiglie a nutrirlo con tutti gli scarti di casa, cosa di cui, peraltro, era golosissimo.
Giunti a febbraio, si chiamava un macellaio esperto del paese e si preparava tanta, anzi tantissima acqua calda. Il passaggio più difficile era condurre l’animale al “patibolo”. Si sapeva, infatti, che se avesse intuito il destino a cui era avviato, sarebbe stato difficilmente gestibile. Il maiale è una bestia di un paio di quintali di peso e con una muscolatura non indifferente.
E l’adrenalina che si fosse eventualmente scatenata nel sangue, avrebbe influito sulla qualità delle carni macellate.
Quindi molta tranquillità ed esperienza facevano parte delle doti del macellaio.
Ma tutto questo ve lo sto narrando per ricordare un’altra delle abitudini popolari dei tempi andati.
Se evidentemente le parti più pregiate venivano accuratamente conservate o vendute, per quelle meno nobili, c’era un altro destino. Venivano condivise a livello popolare con tutti gli abitanti del piccolo paese o frazione.
Ognuno portava un propria quantità di fagioli che, con quelle parti sopracitate, venivano cucinati in comunanza, allegria e fraternità. In questa maniera nascevano le famose fagiolate del periodo Carnevalesco, durante le quali i commensali potevano finalmente mangiare qualcosa che contenesse almeno un pò di grasso e quindi un pò di nutrimento.
Chiaramente tutto ciò, unito a qualche bicchiere di buon vino, portava un’allegria a volte anche smodata, in cui ci si concedevano termini volgari e racconti licenziosi. Da qui il detto “Parlar grasso”, quando qualcuno si lascia andare a battute oltremodo goliardiche. Cioè parlare come nei tempi in cui si mangia di grasso.
Paolo Nissotti