L’esigenza di avere liquidità e il grande rischio usura
Centinaia di persone in coda davanti al Monte di Pietà a Torino per vendere o impegnare una collana, un cimelio di famiglia o un qualsiasi oggetto prezioso che possa consentire di mettere in tasca dei contanti, ma il rischio più grande per la “fase due” è l’usura.
Ultimamente l’afflusso davanti al banco dei pegni, di via Botero a Torino, è aumentato a dismisura e sembra non fermarsi: in tanti sperano di poter entrare all’interno degli uffici che nelle ultime settimane sono letteralmente stati presi d’assalto da centinaia di persone giunte anche da fuori città per vendere o impegnare una collana d’oro, un cimelio di famiglia o un qualsiasi oggetto prezioso che possa consentire di metter in tasca dei contanti. Il bisogno di liquidità è concreto soprattutto ora, in un momento in cui l’emergenza Coronavirus inizia a farsi sentire anche dal punto di vista economico, oltre che sanitario.
Un bisogno di liquidità che sta preoccupando anche per il possibile fenomeno usura. Infatti il rischio indebitamento e possibilità di ricorso a prestiti d’usura, soprattutto all’inizio della fase 2. Quando le attività ripartiranno, alcune a corto di liquidità, il pericolo sarà concreto e attuale. Questa la conclusione dei lavori dell’Osservatorio regionale sui fenomeni di usura estorsione e sovraindebitamento, che si è riunito ieri. Le stime di Ires Piemonte pur in assenza di dati ancora certi, è che l’aumento di persone a rischio sia nell’ordine di 1 a 10.
Secondo Libera, “La criminalità organizzata si sta attrezzando per sostituire il welfare che non arriva”. In generale, di fronte alle pesanti ricadute finanziarie che l’emergenza Coronavirus ha sulla società, l’Osservatorio del Consiglio regionale del Piemonte intende rispondere diffondendo capillarmente la conoscenza dei molteplici strumenti capaci di difendere i più deboli dalle offerte degli usurai. Una campagna di comunicazione che sarà rivolta particolarmente ai soggetti più deboli economicamente.
«L’usura è una seconda pandemia – hanno spiegato i consiglieri regionali delegati dall’Udp, Giorgio Bertola e Gianluca Gavazza – L’emergenza sanitaria che stiamo affrontando con il conseguente lockdown di tutte le attività ha creato purtroppo uno nuovo spazio di azione per la criminalità organizzata che svolge attività usurarie e una maggiore facilità di infiltrazione nelle imprese. Allo stesso tempo sono calate drasticamente le richieste di aiuto dei cittadini coinvolti a causa proprio della difficoltà attuale di raggiungere gli enti e le associazioni che offrono soccorso e sostegno – specificando, inoltre che – Se fino all’anno scorso risultavano a rischio povertà soprattutto gli anziani, oggi l’indice di rischio povertà è quello economico e tocca soprattutto le famiglie. Bisogna diffidare dall’amico buono che propone un aiuto immediato pensando che tanto non appena si riprende a lavorare, si restituisce tutto subito e si salva l’azienda. Quell’amico al tempo della pandemia si trasformerà in nemico nella normalità che proporrà di cedere l’azienda, lasciandola guidare al diretto interessato che diventerà un impiegato con il minimo dello stipendio e il massimo dei rischi. Sappiamo bene che questo fenomeno esiste da tantissimo tempo, da sempre. Ma mai come oggi dobbiamo impegnarci, anche come Osservatorio, non solo con un grande lavoro di sensibilizzazione e informazione, con tutti i limiti dovuti alla quarantena e alla mancanza di contatto umano, ma dobbiamo anche cercare di alleggerire quella burocrazia dei pagamenti da parte degli Enti pubblici che spesso per le imprese diventano una maledizione».
Pur in assenza di dati precisi, la sensazione diffusa tra i componenti dell’Osservatorio, operatori qualificati di fondazioni ed enti che si occupano delle vittime dell’usura, è come detto che la platea dei potenziali soggetti a rischio è in forte aumento. Si teme soprattutto in vista della cosiddetta “fase due” nella quale probabilmente molti lavoratori, sia autonomi sia dipendenti, potrebbero rimanere senza introiti o con entrate minime, per mancanza di lavoro.