Lettera con minacce dal carcere al suocero, l’accusa chiede 4 mesi. Detenuto al 41 bis a processo con l’accusa di tentata minaccia. La lettera non arrivò mai a destinazione perché fu intercettata dagli agenti del carcere di Novara
Detenuto a Novara in regime di 41bis prende carta e penna e scrive una lettera di minaccia al suocero residente in Sicilia. La missiva non arriverà mai a destinazione perché, come prassi vuole, tutta la posta, in uscita e in entrata, viene controllata dagli agenti della polizia penitenziaria ma lui, palermitano 30enne, finisce a processo, davanti al giudice monocratico, con l’accusa di tentata minaccia. I fatti risalgono al settembre di cinque anni fa quando nelle mani degli agenti della casa circondariale di via Sforzesca finì una lettera (poi letta in aula durante il processo) nella quale, nero su bianco, stava scritto: “Io ti voglio bene ma con il tuo comportamento mi sei scivolato dal cuore un po’ più giù verso lo stomaco e non vorrei che scendessi ancora più in basso. Ti giuro che ti farò passare una brutta, bruttissima vecchiaia se non ti prenderai cura, in mia assenza, di mia moglie e di mia figlia” . Il suocero, destinatario della missiva mai arrivata, ascoltato in aula, aveva sostenuto che tra loro, cioè tra lui e il genero, i rapporti erano buoni. “Non ci sono mai stati problemi – aveva detto – E non ci siamo neanche mai scritti, forse una volta per gli auguri. Prima che sposasse mia figlia veniva a casa mia, si comportava bene e non è vero che l’ho allontanata dopo il matrimonio con lui. Dopo l’arresto di mio genero, è rimasta ad abitare nella sua casa, quella che condivideva con lui, quando era in difficoltà le abbiamo pagato noi l’affitto qualche volta e l’abbiamo ospitata a casa per un paio di mesi. Poi non l’ho più vista”. Lui, il detenuto, era collegato in video conferenza dal carcere. Il pubblico ministero ha chiesto la condanna a quattro mesi, il difensore l’assoluzione. “Un caso scolastico – ha sostenuto il legale – perché per configurare un reato tentato ci devono essere atti idonei diretti e l’imputato sapeva che la corrispondenza era intercettata”. Sentenza a settembre.