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Novara

Medicina alternativa? D’Andrea: «Troppi “praticoni” e poca umanità tra i medici tradizionali»

Il presidente Federico D'Andrea

Eleonora aveva 18 anni. Diagnosticato il tumore, i genitori le hanno negato le cure chemioterapiche perchè credevano nella medicina alternativa. E’ morta a Padova, dopo nove mesi di sofferenza. La vicenda ha destato clamore mediatico ma ha anche indotto a diverse riflessioni.

L’Ordine dei Medici di Novara torna sul tema:
«E’ pacifico sostenere che la scienza documenta da tempo la necessità di un certo tipo di cure contro il cancro – spiega Federico D’Andrea, presidente dell’Ordine provinciale dei medici e odontoiatri – e che le teorie alternative, tipo quelle di Hamer, sono prive di qualsiasi riscontro biologico o clinico. E’ molto più difficile capire perché persone per lo più di buon livello culturale e dunque in grado di informarsi senza pregiudizi si lascino attrarre da quelle che sono pratiche deleterie».

«E’ un po’ quel che accade in tema di vaccinazioni – continua D’Andrea – La scarsa informazione porta a credere a dei falsi miti (per esempio, che la medicina tradizionale sia asservita alle multinazionali del farmaco; oppure che solo la medicina naturale, proprio in quanto naturale, sia la risposta più giusta alle malattie) che in medicina sono particolarmente pericolosi. E’ la scarsa informazione che impedisce di sapere che oggi siamo in grado di offrire alla maggioranza dei pazienti non soltanto cure più efficaci in termini di controllo della malattia ma anche una maggiore sopravvivenza se non addirittura la guarigione finale».

«Il nostro impegno – conclude D’Andrea – deve essere rivolto a conquistare una maggior capacità di comunicare le conquiste della moderna medicina e a ottenere la massima fiducia da parte dei nostri pazienti: più d’uno è portato a cercare il sostegno di quelli che si possono definire “praticoni” solo per sentirsi preso in maggior considerazione rispetto a quanto accade con molti medici “tradizionali”: dobbiamo far sì che i pazienti ci sentano più vicini, più attenti. Oggi il rischio è di essere molto tecnici e poco “umani”»