“Noi ti diamo da mangiare, ma non sei tu che scegli chi ti da da mangiare. Non funziona così!”.
Archiviare la questione della rivolta della mensa per i migranti di via Camoletti, avvenuta ieri sera (e qualche altra protesta si è registrata anche nella giornata di oggi) come un semplice fatto legato al menù od alla qualità del cibo, sarebbe oltremodo fuorviante, oltre che di pericolosa sottovalutazione di un problema che rischia di rivelarsi assai più serio.
Già ieri a mezzogiorno le prime avvisaglie di quel che sarebbe accaduto qualche ora più tardi si erano avvertite: un malcontento che si è scatenato quando un gruppetto di manifestanti ha poi di fatto impedito a tutti gli altri l’ingresso nella sala mensa, causando grida e spintoni di chi comunque voleva mangiare e l’intervento delle forze dell’ordine, che hanno rispedito tutti nei rispettivi alloggi.
A confermarlo un operatore del centro, gestito da una società che fa capo a Don Zeno Prevosti “Questa sera (ieri – ndr) sono venuto qui perchè avevo capito che sarebbe successo qualcosa. Per fortuna nulla di grave, però ad un certo punto abbiamo dovuto avvertire le forze dell’ordine perchè noi quattro operatori, da soli, non potevamo contenere la situazione”.
Avvisaglie che hanno riguardato, dicevamo, una portata del menù di mezzogiorno, ovvero un tiramisù che “come da tradizione contiene un po’ di liquore – ammette un altro operatore – è stata una leggerezza e ce ne siamo resi conto dopo. Ma chi non ha voluto quel piatto ha potuto prendere la frutta…”.
“Qui sono tutti mussulmani – dice don Zeno – quindi effettivamente quel piatto non era indicato, ma l’abbiamo sostituito subito”.
Dunque? In verità, intervistando i migranti, la realtà emersa è ben più complessa e non riguarda solo il cibo ma, anche, “chi” quel cibo lo serve… Gli inservienti del centro sono infatti tutti stranieri (fra loro anche la cuoca e l’aiuto cuoca, peraltro di religione mussulmana), pakistani, marocchini…
“Sono faide che arrivano da lontano – spiegano gli operatori del centro – i migranti dell’Africa nera non vogliono essere serviti dai marocchini, confondono i pakistani con gli stessi marocchini… Per noi invece sono un tutt’uno e quindi la gente che lavora qua lavora e basta: noi non facciamo alcuna distinzione. Se è sgarbata o si comporta male allora è un problema che dobbiamo risolvere noi. Questo è un altro discorso. Ma non è pensabile che chi consuma i pasti qui possa scegliere da chi essere servito – ovvero di quale nazionalità ed estrazione religiosa. ndr – perchè altrimenti c’è sì una questione di razzismo, ma che non riguarda noi o gli italiani, riguarda loro…”.
Certo è che parlando con le persone ospiti del centro questo fatto traspare con evidenza “Noi siamo uguali – dice un giovane migrante rivolgendosi all’operatore ed indicando il personale della mensa – ma loro no. Loro sono razzisti…”.
Accuse che vengono ripetute spesso e che rappresentano oggi un problema nel problema, nel mare magnum delle questioni di una politica migratoria oggettivamente incontrollata, che si limita ad accogliere, senza alcuna considerazione e valutazione di questi aspetti, alla loro radice. Aspetti che, giusti o sbagliati che siano, esistono e che non è possibile continuare a nascondere, come la polvere, sotto il tappeto.
“Ci servono maiale e vino” accusa uno dei migranti. Ma gli operatori del centro negano con fermezza: “Serviamo agnello, pollo, pesce… Anche per questo abbiamo voluto persone di religione mussulmana in cucina, per rassicurare: loro non possono cucinare il maiale quindi questa cosa non esiste. Il problema invece è che la cuoca è marocchina e questo a qualcuno non va…”.
“Sono preoccupato per i disordini di oggi – si legge in un comunicato del sindacato di polizia Sap, a firma di Michele Frisia -nati per questioni legate al cibo somministrato ai migranti. Non posso e non voglio entrare nel merito di queste lamentele, ma un fatto è certo: non si può andare avanti così. È stato folle creare queste concentrazioni di persone, senza lavoro né occupazione giornaliera, senza un apparente futuro, in luoghi in cui le forze dell’ordine già faticano a svolgere le quotidiane mansioni, senza pensare alle inevitabili conseguenze. Se oggi (almeno fino ad ora) non ci sono stati incidenti è stato solo grazie alla professionalità e alle doti umane dei poliziotti intervenuti, che nonostante la cronica mancanza di strumenti, danno sempre il massimo per riuscire a risolvere situazioni potenzialmente esplosive”.
“Appare chiaro – prosegue Frisia – che bisogna cambiare radicalmente il modo in cui l’immigrazione viene gestita a livello decisionale. Vorrei ricordare che noi siamo, sempre e comunque, poliziotti, e il fatto che la gestione dei migranti assuma sempre più la veste di una manovra commerciale, piuttosto che un’opera di carità, non ci è passata inosservata”.
Un sistema di accoglienza che ormai genera palese insofferenza anche fra i novaresi e che scatena pulsioni negative soprattutto laddove evidenzia le “differenze”: “Io ho un figlio che non trova lavoro – dice uno dei condomini dei palazzi di via Camoletti, sceso in strada incuriosito – e che, se non fosse per me e per la mia misera pensione, sarebbe in mezzo ad una strada. Qui invece: tre pasti al giorno, alloggio e vestiario, momenti ricreativi… Il tutto… senza fare nulla! Ma è ammissibile tutto questo?”.
Commenti che ormai sui social si sprecano e che rendono bene la cifra di un’esasperazione che, anche in questo caso, sarebbe oltremodo sbagliato sottovalutare. soprattutto perchè, stando ai dati, la stragrande maggioranza delle richieste d’asilo viene rigettata: da qui alla considerazione che il sistema, mal tollerato, debba essere rivisto alla base, il passo è certamente breve.
“Io sono qui da due anni – dice un giovane pakistano – me ne andrei domattina. Ma non ho documenti. Senza documenti dove vado? Alla fine sono costretto a rimanere qui…”…
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