Ancora una volta la Corte di Cassazione emette una sentenza favorevole al contribuente in materia di redditometro. Non tanto sullo strumento in quanto tale, ma su un uso troppo ‘’disinvolto’’ da parte dell’Amministrazione Finanziaria. La Sentenza è la n. 7339 pubblicata il 10 aprile 2015.
Tutto comincia con un avviso di accertamento per IRPEF 2005 emesso nei confronti di un contribuente milanese; tale accertamento, sintetico e presuntivo, si fondava sulla capacità di spesa ricalcolata a seguito dell’avvenuto acquisto di tre appartamenti intestati al coniuge del contribuente, fiscalmente a suo carico, e di una autovettura di grossa cilindrata.
La Commissione Tributaria Provinciale di Milano accoglieva il ricorso del contribuente. L’Amministrazione Finanziaria opponeva ricorso, ma anche la Commissione Tributaria Regionale di Milano dava torto, ritenendo che la documentazione fornita dal contribuente apparisse idonea a giustificare gli investimenti immobiliari effettuati.

Daniele Andretta
I redditi e le motivazioni erano di per sé ampiamente sufficienti per confutare la ricostruzione del Fisco. Più precisamente, si trattava di rimborsi di finanziamenti effettuati in precedenza a favore di due società, oltre ai redditi dichiarati in somme cospicue, per importi complessivi che risultavano, a parere della Commissione, congrui per giustificare gli acquisti effettuati, tanto più che il contribuente esibiva anche gli estratti-conto bancari che evidenziavano le movimentazioni delle stesse somme.
Lungi dall’esser soddisfatta, l’Amministrazione Finanziaria ricorreva in Cassazione con un’unica motivazione che ad alcuni è parsa quasi incredibile. Cito testualmente dal dispositivo delle Sentenza: ‘’la ricorrente si duole del fatto che il giudice del merito abbia ritenuto sufficiente da parte del contribuente – ai fini di vincere la presunzione di legge – la prova di percezione di adeguati redditi esenti o di redditi già soggetti a ritenuta alla fonte ai fini di giustificare gli incrementi patrimoniali, senza richiedere anche la necessaria prova del concreto impiego di detti redditi nell’effettuazione delle spese, mediante la specifica dimostrazione dell’impiego proprio di quelle somme che ne avevano costituito il frutto’’.
Tradotto in parole meno auliche, il Fisco dice ‘’Giudice, sarà anche vero che il contribuente ha ricevuto in restituzione quelle somme, ma deve anche dimostrare di aver usato proprio quelle – e non altre – somme di denaro per effettuare gli acquisti’’.
La Corte ha respinto con fermezza la richiesta, facendo notare che “i destinatari dell’accertamento sintetico sono – per definizione – soggetti non obbligati alla tenuta delle scritture contabili, sicché ad essi non si può estendere la logica che presiede agli accertamenti fondati sui riscontri con i conti correnti bancari (tante operazioni, altrettanti riscontri documentali ci devono essere circa la provenienza o la destinazione) e non li si può gravare di fornire la puntuale dimostrazione della correlazione causale tra il loro tenore di vita e la disponibilità di risorse prive di rilevanza fiscale”.
Insomma la richiesta di provare la stretta movimentazione del denaro con le spese sostenute è stata giudicata, probabilmente, oltre che diabolica, persino irragionevole, trattandosi di privati-persone fisiche. Ancora, prosegue la Corte di Cassazione nella sentenza: ‘’più di recente (ma sempre in riferimento alle fattispecie soggette alla disciplina ante novella) questa Corte ha evidenziato che, anche con riferimento agli accertamenti sintetici fondati su spese sostenute per “incrementi patrimoniali”, la prova documentale contraria di cui è onerato il contribuente “riguarda la sola disponibilità (quindi il semplice fatto di possederli è sufficiente) di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte e non anche la dimostrazione del loro impiego negli acquisti effettuati”, essendo detta circostanza “idonea, da sola, a superare la presunzione dell’insufficienza del reddito dichiarato” (Cass. sez.5 Sentenza n.6396 del 19.3.2014)’’.
Concludendo, sarà anche vero che tutto è ben quel che finisce bene; però viene anche da chiedersi il perché di certi comportamenti da parte del Fisco, e perché poi si ostini a percorrere fino in fondo tutti e tre i gradi di giudizio.
Daniele Andretta
Studio societario Tributario
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