La neocostituita associazione “Libertà bene comune” ha organizzato un convegno dal titolo che davvero voleva essere, e come in effetti era, tutto un programma: “Conoscere il referendum – per una sana e consapevole libertà”.
Così nel pomeriggio di domenica, nella splendida cornice torinese dell’oratorio juvarriano di san Filippo Neri, alcuni politici e due docenti di diritto costituzionale (i professori Mario Dogliani dell’università di Torino e Massimo Cavino dell’università del Piemonte Orientale) si sono affrontati senza esclusione di colpi (ed a dire il vero con alcuni picchi di imprevedibile astiosità polemica) nel difendere le ragioni del sì e quelle del no per la scelta che ci si proporrà nel referendum del prossimo 4 dicembre.
L’opzione che ha orientato a monte l’organizzazione di questo convegno è stata, per l’appunto, una rivendicazione di libertà e per la libertà.
Perché il referendum presuppone un scelta di libertà (partecipare o meno, votare sì oppure no) ed avrà in ogni caso pesanti conseguenze in termini di spazi di libertà per ciascun cittadino.
In effetti se è vero come è vero che la Costituzione (la cui proposta di riforma è l’oggetto del referendum in questione) rappresenta in uno stato la cornice che presiede al funzionamento della macchina istituzionale, non lo è di meno che proprio le istituzioni siano l’alveo in cui si esplica un pezzo tutt’altro che secondario dello spazio di libertà di ciascuno.
E quindi occuparsi di referendum è anche, qui ed ora, occuparsi di una questione di libertà.
Nella quale per altro la conoscenza è precondizione irrinunciabile ed insostituibile.
Votare o meno e se del caso votare sì oppure no rappresentano infatti un esercizio di libertà ed un sano utilizzo di uno spazio di libertà unicamente a condizione che ciò avvenga sulla scorta di una corretta conoscenza dell’oggetto del contendere ovvero del motivo per il quale si è chiamati ad esprimersi e quindi dei contenuti della proposta di revisione costituzionale oggetto di referendum.
Proprio questo spiega non solo la scelta del tema del primo convegno organizzato dall’associazione “Libertà bene comune” ma anche il tipo di approccio che si è consapevolmente adottato: non un momento di esercizio per tifoserie , per schieramenti, per chiamate alle armi politiche o politicanti ma un’occasione di conoscenza nel confronto dialettico delle posizioni e delle convinzioni.
E quanto questo approccio si sia rivelato adeguato e necessario è stato confermato dallo svolgimento stesso del convegno. Fra i mille temi possibili di confronto evocati nel pomeriggio di domenica vogliamo proporne in questo sede, magari per iniziare un dibattito improntato proprio allo spirito di cui sopra, almeno un paio e collegati l’uno all’altro.
Nel quesito sul quale saremo chiamati ad esprimerci è chiaramente indicato che dovremmo esprimerci sulla diminuzione dei costi della politica.
Ora, ammesso e non concesso che questa legge riduca davvero in maniera significativa tali costi, domenica pomeriggio un autorevole e preparato supporter del sì ha sostenuto che: “… della riduzione dei costi non mi importa proprio nulla; anzi: i soldi spesi in democrazia sono ben spesi, rappresentano sempre un buon investimento. Semmai mi importa che abbiano un ritorno; non quanto ho speso ma se li ho spesi bene in termini di funzionamento della democrazia al servizio del cittadino.”
Magari impopolare oggigiorno ma, vivaddio, posizione condivisibilissima.
Peccato, appunto, che il testo della scheda referendaria sia letteralmente una traduzione agli antipodi di questo concetto.
Collegata a questa l’altra questione che vorremmo cominciare a proporre per una riflessione all’insegna di una… sana e consapevole libertà.
Schieramenti del sì e del no si rinfacciano con toni sempre più accesi di schiacciare l’occhio, quanto non addirittura di affiancare, la marea montante dell’”antipolitica”.
Come se poi questo fosse davvero possibile e invece il semplice postularlo non rappresentasse invece, nella realtà, l’estremo ossimoro di questa convulsa transizione di epoche che sta piuttosto sempre più comprimendo la libertà come bene comune.
Perché l’antipolitica semplicemente non è, rappresenta una contraddizione in terminis posto che già il farsene in qualche modo sostenitori individua a tutti gli effetti una… politica.
E chi se non proprio l’impossibile antipolitica postula come grande emergenza nazionale la riduzione dei costi della politica magari anche utilizzando le (mentite?) spoglie del referendum del 4 dicembre?
Giuseppe Cortese