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Novara

#Ri-scatti: Daniela Casapieri #mamma #associazionecristianacasagrande

Ha 70 anni, è nota in città per le sue battaglie sui grandi temi del femminismo, tra le maggiori sostenitrici dei consultori, fino a trovare in essi una professione durata molti anni: Daniela Casapieri è la fondatrice dell’associazione “Cristiana Casagrande”, un gruppo che si occupa di disagio psichico, ma anche di ascolto dei detenuti e del loro reinserimento, scontata la pena, nella società.

L’associazione nasce dopo la morte di Cristiana, figlia di Daniela, colpita all’improvviso da un problema cardiaco. “Cristiana aveva 33 anni quando è mancata – spiega Daniela – Era una restauratrice, a Firenze, poi tornò a Novara dove iniziò a lavorare da “Tanto di cappello”. Dopo la sua scomparsa, scoprimmo che Daniela aveva saputo dare davvero tanto alle persone che stavano intorno a lei, a livello di affetto, ma anche di ascolto e di consigli. Così abbiamo deciso di proseguire il suo lavoro”.

Mamma Daniela ha quindi dato vita ad un gruppo di volontariato in memoria di Cristiana.
“Un obiettivo prioritario della nostra associazione è quello di combattere contro l’infanzia negata e per i diritti dei bambini, ma negli ultimi anni prestiamo volontariato anche nel carcere di via Sforzesca dove facciamo ascolto a chi lo chiede. E sono davvero tanti i detenuti che hanno bisogno di aiuto, anche solo di una parola, di un volto amico. Lavoriamo sui temi della genitorialità e del ritorno nella società”.

Daniela Casapieri è anche vicepresidente dell’associazione Tutela dei diritti del malato e collabora con il Dipartimento di Salute Mentale dell’Asl di Novara.

“Vorrei più attenzione da parte della città sul tema del disagio. Con i tagli sulla sanità è difficile portare avanti progetti e programmi che richiedono finanziamenti. Facciamo una gran fatica a trovare risorse. Anche sulle attività carcerarie ci sono importanti progetti che, per questioni economiche, non vengono tenuti in considerazione: se queste persone non sono pronte ad affrontare la vita una volta uscite dal carcere, allora tornano a delinquere. Nel carcere non siamo entrati per questioni di pietismo né religiose: credo nell’uomo, nel suo recupero, nelle sue risorse e credo anche nei diritti dell’uomo, compresi quelli dei detenuti ovviamente. Per il momento lavoriamo solo con le nostre risorse, risorse umane, ma si potrebbe fare molto di più con un’attenzione maggiore da parte del territorio e delle istituzioni”.