Negli anni 60’, il poeta americano Allen Ginsberg violava, con le sue liriche dissacranti, il pensiero perbenista dei poeti tradizionalisti di mezzo mondo, invitando le nuove generazioni ad allargare l’area della propria coscienza, mescolando sapientemente drammatiche realtà sociali, filosofia Zen e droga, mentre l’irrequieto scrittore Jack Keruoac dalle pagine del suo “On The Road” e il regista Dennis Hopper con il film “Easy Rider”, stimolavano le menti della gioventù di quell’epoca a viaggiare senza meta, liberi da ogni inibizione, muniti solo di uno zaino e di un sacco a pelo, con l’ausilio dell’autostop, oppure cavalcando leggendarie motociclette americane. Sbocciava il movimento dei “figli dei fiori”, prorompeva la rabbia delle “black panthers” per i diritti dei neri d’America. Erano gli anni in cui divampava la guerra nel Vietnam, mentre nella remota isola di Cuba nasceva il mito di Che Guevara. In Italia trionfava il film “La dolce vita” di Federico Fellini, inteneriva i cuori la dolcezza di papa Giovanni XXIII, nelle scuole lievitava la protesta degli studenti che dilagherà nel famoso e discusso 68’; la strage di Piazza Fontana darà inizio ad uno dei capitoli più vergognosi della storia italiana del dopoguerra.
Io amo però ricordare quegli anni per le note musicali multicolori, per quelle buone vibrazioni che dall’America e dall’Inghilterra arrivavano effervescenti, per quel caldo vento rinnovatore che presto si trasformerà in musica e per le immagini variopinte che segneranno l’inizio della nostra giovane stagione generazionale. Per molti di noi quel cambiamento fu essenziale e la nuova musica che arrivava ogni giorno sempre più intensa e accattivante, divenne nutrimento per la nostra anima.

I Tuoni
La nostra cittadina non rimase immune al fascino del cambiamento: ascoltavamo Bob Dylan, i Beatles e i Rolling Stones, e in breve tempo non c’era cantina o garage che diffondesse la musica un po’ incerta dei primi proseliti, che cercando di emulare – magari con qualche accordo sbagliato e con gli amplificatori a tutto volume, i loro idoli famosi – assordavano genitori e vicini di casa.
Uno tra i primi gruppi a formarsi sotto l’ombra del Sancarlone si chiamava Wanted, e nasceva da un’idea di Daniele Vigotti (chitarra basso), Roberto Langhi (chitarra) e Luigi Bocchetta (chitarra); in seguito il complesso subì una netta trasformazione con l’uscita di Luigi Bocchetta e l’inserimento del chitarrista mercuraghese Franco Agazzone, musicista (ex solista dei Diabolici, complesso castellettese) che nonostante la giovane età aveva alle spalle una notevole esperienza artistica, essendosi dedicato allo studio della chitarra e all’attività di musicista qualche anno prima che la musica beat irrompesse prepotente nella moda giovanile del momento; l’esperienza e la bravura di Agazzone fece compiere al gruppo un notevole passo avanti, e lo stesso artista diventò nel giro di pochi mesi il maestro di tanti futuri chitarristi. Il complesso cambiò il nome Wanted in quello di Tuoni. Con l’uscita di Roberto Langhi, il gruppo trovò la sua giusta identità inserendo nell’organico due autentiche “chicche”, il tastierista e armonicista Nicola Pankoff, che arrivava da un’esperienza professionistica avendo accompagnato in un Cantagiro –famosa kermesse musicale in voga negli anni 60’– il cantautore Simon Luca, ed il giovanissimo batterista Luciano Beia, ex Rolls, autentica promessa della musica locale, ancora oggi apprezzato professionista.

Valerio Del Ponte in concerto
I Tuoni non tardarono a diventare la migliore band aronese facendosi applaudire anche fuori delle “acque territoriali”; mentre il gruppo raccoglieva sempre più consensi, il sottoscritto con Tonino Baldon, ex Jet, entrambi allievi di Franco Agazzone, formavamo il gruppo dei Fulmini, accostando ironicamente il nome di “fulmini” a quello di “tuoni” dei nostri amici più famosi. Il gruppo dei Fulmini, oltre a me e a Tonino Baldon, entrambi chitarristi, era formato da Enrico Raso (basso), Enrico Polimeni (batteria) ai quali più tardi si aggiunse il tastierista dormellettese Emiliano Didò, il sassofonista Dario Albertini e il cantante Enzo Vietti; il debutto dei Fulmini avvenne proprio accanto agli ormai celebri Tuoni, al cinema Lux di Arona, in una serata di beneficenza pro alluvionati di Firenze.
Altri gruppi di quel periodo furono: I Miserabili, del tastierista Luigi Carnelli, I Rolls, composto dai chitarristi Mariano Savio ed Enrico Rossati, con Lorenzo Rinaldi al basso ed il borgomanerese “Schicchio”, alla batteria, entrato a sostituire il quindicenne Luciano Beia, passato a grande richiesta nei rinomati Tuoni; I Rolls furono il primo gruppo ad autofinanziarsi per l’incisione di un disco a 45 giri con un brano intitolato “La fine del mondo” la cui copertina tappezzò per diverse settimane le vetrine dei negozi aronesi di dischi. Parteciparono in seguito al Festival delle Voci Nuove di Varese, vincendo il microfono d’argento più un sostanzioso contratto con diversi locali della riviera romagnola.
I Presley 66, una doppia coppia di fratelli formata da Luciano Asprea (batteria) e Angelo Asprea (chitarra e voce) e da Pasqualino Raso (chitarra e voce) ed Enrico Raso (basso); I Rainbow, di Massimo Marini (tastiere), Nino Muscarà (chitarra), Enea D’Incecco (basso) e Giorgio Isetti (voce). Ricordo inoltre I Jet, I Flash, e altri gruppi, durati lo spazio di pochi mesi, il cui nome si è perso nei meandri della mia memoria.

Massimo e la sua band
Voglio menzionare i cantanti Franco Colombo e Raffaele Gnuva, i batteristi Gianfranco Fanelli, “Catania” e “Viturin”, il chitarrista “Gimmi, parrucchiere” e i cugini Fiorina (chitarra e tastiera). Una citazione di merito, la dedico all’indimenticabile giornalista e chitarrista Mario Bonazzi, musicista appartenente alla vecchia generazione, che seppe con bravura e tecnica adattarsi allo stile musicale di quel periodo.
Ogni anno in concomitanza della fiera del lago Maggiore era tradizione dare spazio alle voci e ai complessi emergenti di Arona e dintorni, un vero e proprio festival con tanto di giurie e vincitori; in quel periodo non posso dimenticare il compianto Renato Coppa, soprannominato “René la nuit”, in onore al suo cavallo di battaglia “La Notte”, celebre canzone del cantante italo belga Salvatore Adamo, con cui vinse uno di quei memorabili concorsi, e le giovanissime Annarita Marangio ed Enrica Terroni (meinese), sempre classificate tra i primi posti. Vincenzo Mancino, l’Al Bano del lago Maggiore, dalla voce melodiosa e potente come quella del celebre artista pugliese.
Il cantante aronese più famoso fu tuttavia Giorgio Isetti, ex voce dei Rainbow, autentico “animale da palcoscenico” dalla voce originale, dotato di personalità e di un look ricercato, che lo faceva assomigliare più di altri ai miti di quel tempo; la sua fama crebbe lontano da Arona, affermandosi in diversi complessi dell’hinterland novarese (Gli Oro, I Fango ecc.) anche a livello professionistico. Alla fine degli anni 60’ nasce il gruppo delle Conseguenze, formato insieme a me, dal “sanguigno” nebbiunese Jo Della Zoppa (voce), da Pierpaolo Clemente (chitarra), l’ex Presley 66, Enrico Raso (basso), e dal batterista Roberto Bertolotti; tutti in parte fans dei Rolling Stones, che cercavano di riprodurre nella maniera migliore i successi del gruppo inglese. Il cantante, Jo, era perfetto nel rappresentare la “rockstar” irrequieta e maledetta, ostentandosi a personaggio “rock noir”, stile Jim Morrison dei Doors o come lo stesso Mick Jagger degli Stones. Nella vita come sul palcoscenico amava esibire le sue provocazioni, che se ai nostri idoli d’oltremanica portavano il successo e la fama, alla band causavano soltanto grattacapi. Per questo, dopo l’ennesimo assedio di spettatori inferociti (festa dell’uva di Borgomanero), che avevano male interpretato alcuni suoi ardimentosi atteggiamenti, decidemmo di sciogliere il gruppo.

Nicola e Valerio revival 1989
Nascono intanto I Custodi Del Tempio, di Mario Vigotti (voce), Maurilio Prone (chitarra) e Pino Tarzia (chitarra) e la mega-orchestra de I Vulcani, unica band aronese a proporsi con una sezione di fiati, composta da: Iller Fornaciari (batteria), Ivano Lazzari (tromba e voce), Toti Campanella (tromba), Andrea Ronchi (sax tenore), Renato Macrì (sax contralto e clarino), Pietro Piola (trombone), Pino Caccamo (chitarra e voce), Lorenzo Rinaldi ex Rolls (basso e voce solista), Lello Petrone (tastiere e fisarmonica) e Ottaviano Mascielli (tastiere). Il gruppo fondato alla fine degli anni 60’ subì nei primi tempi della sua costituzione numerose trasformazioni; tra i primi aderenti, Luca Morea (tastiere), Elio Grisoni (chitarra), Gaetano Del Giudice (basso), Romeo Fiore (voce) ed io alla chitarra, oltre al fondatore Iller Fornaciari (batteria) che proseguendo nel suo progetto allestì in seguito la mega-band descritta, raggiungendo a metà anni 70’ l’apice della sua notorietà, esibendosi nelle migliori discoteche della zona.
Negli anni 70’ il rock divenne adulto. Furono sempre di più i complessi a perfezionare il proprio sound e a proporre ai fans nuove sonorità; nacque il “rock progressivo”: King Crimson, Led Zeppelin, Yes, Deep Purple, Genesis e molti ancora, le nuove stelle del firmamento rock mondiale.
Anche ad Arona si avvertì il desiderio di rinnovamento: sparirono i musicisti troppo affezionati all’ormai superato genere Beat e comparvero all’orizzonte nuovi giovani talenti, notevolmente più smaliziati e tecnicamente più abili di quelli della precedente generazione. Angelo Mora, scatenato emulo di Jimi Hendrix, divenne il leader del Grande Abisso insieme al batterista castellettese Dario Giovannetti. Il giovanissimo chitarrista Dario Fanelli, dotato di tecnica sopraffina, amava ispirarsi a veri “mostri” di virtuosismo quali Robert Fripp, chitarrista dei King Crimson e Steve Howe degli Yes; da non dimenticare l’estroso percussionista e batterista Federico Monti, sempre alla ricerca di nuove forme ritmiche che dosava con destrezza nelle sue esibizioni.
Nel 1971, sospinti dal vento delle grandi riunioni rock, Woodstock e Isola di Wight, tanto per citare le più famose, si celebrerà sulle colline di San Carlo (località Cantarana), il primo (e unico) concerto rock aronese, che coinvolgerà numerosi gruppi locali e della zona, attirando centinaia di giovani da tutti i paesi della provincia; l’evento susciterà parecchio clamore e la “mitica” Gazzetta del Popolo, ne darà risalto dalle pagine della sua testata.
In mezzo a tanti mutamenti, decido anch’io di cambiare: abbandono la chitarra elettrica, dedicandomi completamente al mandolino, alla ricerca di nuove sonorità acustiche.
In un pomeriggio d’estate, durante una scampagnata al parco dei Lagoni, insieme al chitarrista e compagno di avventure Pierpaolo Clemente, al compianto Elio Grisoni (chitarra a 12 corde), e a Massimo Marini (armonica), demmo il via ad un nuovo gruppo musicale di genere acustico strumentale, che visto lo spazio verde e salubre dov’era sorto, non potemmo fare a meno di battezzare, Aria Pulita. Il gruppo, per la novità che rappresentava ottenne un discreto successo; il genere, ispirato al country tradizionale americano, incuriosiva il pubblico che raramente aveva ascoltato suonare dal vivo il mandolino con quello stile particolare, abituato da antichi costumi ad accostarlo solamente alla musica napoletana. Aria Pulita vivrà solo otto mesi; saranno mesi intensi e piacevoli, nei quali facemmo da supporter alla cantante americana Marva Jan Marrow, in uno dei suoi rari concerti italiani, all’emergente cantautore Jury Camisasca e al noto gruppo jazz-rock Arti e Mestieri.
Se negli anni 60’ toccò a Franco Agazzone la palma di capo carismatico della musica aronese, nei nuovi anni 70’ la geniale creatività del pittore-musicista Nicola Pankoff lo fece innalzare sicuramente al posto più ragguardevole tra i musicisti pop aronesi; terminata la sua avventura con i Tuoni, l’artista aronese fece parte del complesso tedesco degli Analogy, con i quali incise un album. Il suo desiderio però era quello di comporre musica propria, quindi, uscito dagli Analogy, cominciò lavorare alacremente dentro ad alcuni progetti musicali che gli permettessero di realizzare le sue idee innovative; il mio incontro con Nicola Pankoff diventò la scintilla che diede il via ad una collaborazione creativa durata quasi sette anni; l’artista italo-russo voleva dare vita ad un gruppo musicale che s’identificasse al suo stile pittorico “Fantasy”, e i componenti di Aria Pulita, almeno nella parte iniziale del suo progetto, avevano tutte le caratteristiche idonee per raggiungere tale scopo. Nacque così la Biodegradable Water Melon, che univa sagacemente il suono elettronico delle molteplici tastiere di Pankoff, la dolcezza calda e accattivante della sua cromonica – un tipo di armonica molto difficile da suonare – ed i suoni puliti e delicati del mandolino e delle chitarre acustiche alle quali si unì presto il bassista Santino “Tito” Giannandrea.
Massimo Marini (armonica e tastiere), rimasto fuori dal progetto di Pankoff – non potevano coesistere, suonando entrambi gli stressi strumenti – dopo breve tempo formò Il Canto Ritrovato, primo complesso musicale aronese ad inclinazione culturale; insieme a due cantanti dell’Alto Vergante, Manuela Riboni e Daria Donderi, e al chitarrista Renzo Carraro, svolse un’appassionante ricerca di vecchie canzoni appartenenti al folklore italiano, che spaziava dai canti partigiani, a quelli delle mondine, passando per le canzoni politiche e le ballate contadine, svolgendo con grande perizia un’enorme e preziosa analisi musicale ed intellettuale. In seguito si unì al quartetto Elio Grisoni, che aveva abbandonato il complesso di Pankoff. Il gruppo fu per dieci puntate ospite di Tele Alto Milanese, famosa televisione privata di quegli anni, dove oltre ad esibire il loro nutrito repertorio, approfondirono la loro già vasta cultura musicale cimentandosi in brani appartenenti alla musica popolare messicana. Terminata quest’interessante fase, Marini si dedicò al genere blues, suonando in diverse band del Verbano, la Wild Chicken Band fu la più famosa, affermandosi anche nel mondo della pittura.
Nel frattempo la Biodegradable Water Melon diventò una fucina di musicisti, ai quali, Pankoff ed io, davamo la possibilità di collaborare alle nostre performances, ma, non sempre con esiti appropriati; per questo motivo la band subì una nutrita serie di cambi di formazione, alla fine ben venticinque musicisti entrarono a far parte – magari solo per una settimana – della grande famiglia Water Melon, tra i più famosi l’italo americano Chuck Rolando, che dopo una breve esperienza nella band, trovò notorietà con il complesso dei Passengers, quartetto vocale di Disco Music, che raggiunse una discreto successo, entrando tra i primi posti nella Hit Parade italiana, Gabriele Tricarico che terminò nella Water Melon la sua entusiasmante carriera di batterista, dopo avere suonato in molte tournee in giro per il mondo accanto al celebre cantante Franco Simone, il chitarrista, cantante e pittore Maurizio Fini, che proseguì da solo, esibendosi nei piano bar della zona, deliziando le platee con la sua limpida voce accompagnata dalla sua preziosa chitarra Ovation e infine il giovanissimo chitarrista Ugo Binda, che dopo l’esperienza con la Water Melon, si affermò negli ambienti musicali, grazie alla sua acclamata e consolidata bravura, dividendosi tra sale d’incisione e concerti in Svizzera e nell’Italia settentrionale. Gli spettacoli della Biodegradable Water Melon furono circa una sessantina; emozionante quello da “supporter” ad Angelo Branduardi (Borgomanero, parco Marazza) quando l’artista milanese era agli inizi della sua carriera, e quello con Alan Sorrenti (Arona, piazza san Graziano). La musica della Biodegradable Water Melon fu ascoltata e valutata dalla Casa Discografica Ricordi, ma benché i giudizi fossero benevoli, i discografici ritennero le nostre composizioni poco commerciali, in pratica una piacevole musica da ascolto, ma priva di mercato. Sfiancati dalle troppe attese e da una latente stanchezza, che cominciava ad affiorare, Pankoff ed io mettemmo fine al nostro valido sodalizio artistico.
Intanto gli anni 80’ battevano impazienti alla porta, e altri giovani talenti aronesi si affacciavano carichi d’entusiasmo sulla scena rock aronese, con nuovi generi e proposte musicali…ma questa è un’altra storia che non è di mia competenza narrare.
Il mio racconto termina qui, nella convinzione di avere dato un po’ di nostalgico piacere a tutti i protagonisti di questa affascinante avventura, ragazzi che come me in quel tempo ormai remoto, hanno sognato, trasportati dalla quella gigantesca onda d’entusiasmo che solamente i giovani possiedono, di diventare almeno per una volta, una stella della musica rock-pop. Al di là di ogni patetismo, il messaggio che voglio trasmettere è quello di amare profondamente la musica, suonata o ascoltata, classica, pop o rock, non ha importanza; la musica addolcisce la vita, rende migliori, allontana malinconia e noia, fa dimenticare per qualche istante le cattiverie ed il malessere che attanaglia questo mondo. Nel mio racconto, colmo di ricordi, ho cercato di far tornare giovani, anche solo per pochi istanti, tutte le persone che hanno vissuto alla mia maniera quegli anni indimenticabili.
I capelli bianchi e sempre più radi sono l’amara testimonianza del tempo impietoso che se ne è andato troppo in fretta, i nostri occhi sognano ancora rock, rincorrendo sempre più stancamente immagini e ricordi di teatri fumosi, fredde cantine, note ingiallite sul grande pentagramma della vita, ma il nostro spirito libero di musicisti, continua ad essere “on the road”, diretto verso l’ennesimo crocevia, con una chitarra a tracolla e un’armonica tra le labbra, abbracciato alla nostra immensa nostalgia.
“…Possano le tue mani essere sempre occupate
Possa il tuo piede essere sempre svelto
Possa tu avere delle forti fondamenta
quando i venti del cambiamento soffiano
Possa il tuo cuore essere sempre gioioso
Possa la tua canzone essere sempre cantata
Possa tu restare per sempre giovane
per sempre giovane per sempre giovane
Possa tu restare per sempre giovane.”
(Da: Forever Young di Bob Dylan)