Una delle anomalie della legge regionale elettorale che è stata lasciata in eredità dalla giunta Cota, oltre all’oggettivo Torino centrismo (sarà infatti il capoluogo a far bottino pieno di eletti, lasciando briciole alle province con minore numero di abitanti) consiste nel fatto che la gran parte dei seggi verranno attribuiti con i “resti”. Si tratta di un meccanismo complicatissimo frutto dei tentativi di aggiustamento di una legge nata con il sistema proporzionale, iniettata poi da massicce dosi di maggioritario – operazione che risale all’epoca in cui, dopo il referendum Segni, il “mondo” politico pareva destinato a divedersi in due definiti schieramenti contrapposti – infine rattoppata, sull’onda dei recenti scandali, attraverso una drastica riduzione del numero degli eletti (che saranno 50 in tutto, di cui 10 collegati alla lista del presidente vincitore).
Legge elettorale, un pasticcio in salsa padana
Un pasticcio in salsa padana insomma questa legge, figlia del clima da fine impero cui abbiamo assistito negli ultimi mesi di governo del centrodestra, grazie al quale ci si è limitati a dare una sforbiciata al numero dei consiglieri che siederanno fra gli scranni di Palazzo Lascaris, senza però preoccuparsi delle conseguenze più eclatanti di questa operazione. La prima, come accennavamo in apertura, è nel rischio ben reale che le circoscrizioni (che corrispondono territorialmente alle province) meno popolose non riescano ad eleggere nemmeno un rappresentante in Regione (ad esempio Vercelli, Biella, Asti e Vco: non a caso in queste ore alcuni uscenti di lungo corso hanno fatto carte false pur di essere inseriti nel famigerato listino collegato al presidente).
Tanti eletti con i “resti”
La seconda è che analizzando i numeri e le previsioni di voto nella loro matematica freddezza, saranno ben poche le liste in grado di ottenere seggi “pieni” (ovvero, per rimanere in tema pasquale da poco passato, infilare nelle ceste/seggi il numero necessario di uova/voti per ottenere l’elezione del proprio esponente date le alte percentuali richieste) mentre saranno ben di più che in passato gli eletti con i “resti” (il numero di uova/voti rimasti fuori dalle ceste e dunque recuperati e redistribuiti). Il che fa supporre uno spoglio delle schede elettorali al calor bianco, come minimo, con candidati convinti di essere eletti e poi invece no (la crudeltà sarebbe suggerire alle Iene di organizzare uno speciale per chi soffre di “dichiarazione precoce”).
E resiste il “listino”: ma sarà costituzionale?
Per chiudere con il capitolo delle magagne relative alla legge elettorale c’è anche da considerare che, nonostante l’Alta Corte abbia dichiarato incostituzionale il Porcellum per via della presenza delle liste bloccate, ebbene in questo Piemonte la “nuova-vecchia” legge elettorale riesce comunque a mantenere in vita il principio collegando un listino di dieci consiglieri, scelti dalle segreterie dei partiti e non dagli elettori, al Presidente eletto. E non sono pochi gli addetti ai lavori che considerano questo un azzardo considerata la fine in punta di sentenza di questa legislatura, capitolata a suon di carte bollate dopo quattro anni di vita… Insomma cosa uscirà da questa frittata lo si capirà solo ad urne chiuse ed a spoglio avvenuto, allorquando potrebbe anche verificarsi l’eventualità più temuta in particolare dal candidato dato ormai come scontato vincente ovvero Sergio Chiamparino: l’ingovernabilità data da numeri insufficienti a reggere la maggioranza che si sarà presentata agli elettori e che costringerebbe ad alleanze “pericolose” e forse una tantino ingombranti (pescando da Forza Italia, Ncd o Fratelli d’Italia).
Una cosa è certa: la capacità di complicarsi la vita da parte del politica regionale sta davvero facendo scuola, ma in senso negativo. Altro che “modello Piemonte”.