Buongiorno
Novara

Caso Djalali: “E’ malato di tumore, serve un ricovero urgente”

“Chiediamo un processo equo per Ahmadreza Djalali, ma anche un ricovero urgente. Angelino Alfano e Federica Mogherini facciano pressione. Siamo giunti al momento clou della vicenda. Noi continueremo questa lotta per salvarlo”. Luca Ragazzoni, medico e ricercatore novarese del Crimedim, che per 4 mesi ha lavorato a fianco di Djalali, si appella al ministro degli Esteri e all’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza dopo i recenti sviluppi sul caso del ricercatore imprigionato in Iran da aprile dell’anno scorso, con l’accusa di essere una spia del Mossad. E’ di ieri la notizia, diffusa dal Center for Human Rights in Iran, della sospensione della condanna a morte e di un possibile tumore allo stomaco, da cui Djalali sospetta di essere affetto. Nella foto in alto appare in effetti molto dimagrito, anche a causa dei lunghi scioperi della fame condotti contro l’isolamento in cui versa nel carcere di Evin. Il caso è ora al vaglio della 33^ sezione della Corte suprema iraniana.

Questa mattina, a Palazzo Madama, si è tenuta una conferenza stampa, in cui si è fatto il punto della situazione. Rispetto alla sospensione della condanna capitale, il presidente della Commissione diritti umani del Senato, Luigi Manconi che insieme alla collega novarese Elena Ferrara stanno seguendo da vicino la questione, ha commentato: “E’ una fragile ed esile novità, ma è anche un fatto positivo. La mobilitazione internazionale ha avuto senso. Questa sospensione accende una speranza, che va sostenuta e protetta”.

Secondo Pia Locatelli, presidente del Comitato permanente sui diritti umani, “potrebbe trattarsi di una sospensione tecnica, ma che rappresenta un segnale di maggiore prudenza da parte dell’Iran”.

Un nuovo appello all’Europa è stato lanciato da Fidu, Nessuno tocchi Caino, Ensemble contre le peine de morte e dal Center for Human Rights in Iran, anche alla luce delle contestazioni che hanno interessato il Paese a partire dagli ultimi giorni del 2017. Episodi che avrebbero uno stretto collegamento con la vicenda di Djalali, per quanto concerne la “libertà di ricerca e di diffusione del sapere scientifico”, come è stato sottolineato questa mattina nella conferenza a Palazzo Madama, in cui sono stati diffusi dati preoccupanti. Dal 28 dicembre a oggi in Iran sarebbero state arrestate più di 7.000 persone, fra cui moltissimi studenti, lontani dall’attivismo politico. 3 detenuti sono morti (uno proprio nella prigione di Evin, dove è rinchiuso anche il ricercatore del Crimedim): secondo le autorità locali si tratterebbe di suicidi, per gli osservatori invece potrebbero essere morti in seguito a torture. In Iran nel 2016 risultano 530 esecuzioni capitali, 548 nel 2017, secondo quanto riferito da Elisabetta Zamparutti, rappresentante italiana nel Comitato prevenzione tortura del Consiglio d’Europa e tesoriera di Nessuno tocchi Caino.