La condanna all’esecuzione capitale per il ricercatore di nazionalità iraniana Ahmadreza Djalali, medico e docente anche all’Università del Piemonte Orientale di Novara, sta suscitando reazioni forti da parte di organizzazioni ed esponenti politici ed istituzionali. Di recente la televisione iraniana ha diffuso delle immagini, in cui il ricercatore si è accusato di essere una spia, ma queste dichiarazioni gli sarebbero state estorte sotto tortura. “Condannato a morte nel suo Paese – spiega la senatrice Elena Ferrara, componente della commissione Diritti umani – sarebbe destinato irrevocabilmente all’esecuzione capitale in quanto sarebbe esaurita ogni possibilità di appello o di revisione del giudizio. Tutto ciò è avvenuto fuori da ogni forma di controllo da parte dell’opinione pubblica internazionale e con procedure che sono rimaste segrete”.
“Ieri (19 dicembre, ndr) si è riunito il Consiglio Superiore per i Diritti umani della Repubblica Islamica dell’Iran e, alla presenza dei Rappresentanti dell’Unione Europea e delle nazioni maggiormente interessate alla sorte del ricercatore (Italia, Belgio e Svezia), è stata confermata la condanna a morte senza alcuna possibilità di ricorso ad ulteriore grado di giudizio tranne che l’eventualità della concessione della grazia – continua la parlamentare novarese – Da oltre un anno abbiamo seguito la vicenda del dottor Djalali insieme ai suoi colleghi italiani ed europei esperti in medicina dei disastri; abbiamo sostenuto le sottoscrizioni e gli appelli lanciati da 75 premi Nobel e dai Responsabili delle Università, sedi dei Centri di ricerca che hanno potuto apprezzarlo come collaboratore di grande competenza. La situazione sembra avviata ad un esito tragico. Chiediamo, di conseguenza, che il nostro Paese sia promotore di un urgente rafforzamento della mobilitazione internazionale e che il nostro Ministero degli Esteri convochi l’Ambasciatore Iraniano a Roma per chiedere conto di quello che appare un atto di grave violazione dei diritti fondamentali della persona”.
Nei giorni scorsi Amnesty International ha diffuso una toccante video-intervista alla moglie di Djalali, che invita nuovamente a sostenere l’appello alla liberazione: “Credo che il vostro supporto possa fare la differenza”, conclude. Lo trovate qui di seguito.