“Le tracce della tragedia si vedono chiare: dove le persone sono cadute ognuno lascia un fiore, una candela, un peluche. Sono gesti comuni, forse banali, ma è l’unico modo che questa splendida città ferita ha di manifestare la propria commozione per un eccidio inconcepibile”. L’oleggese Cristiano Canavesi, avvocato, giovedì sera era a Nizza, lungo la Promenade des Anglais, seduto all’esterno di un bistrot, in attesa di vedere quei fuochi che ogni anno simboleggiano una data importante per tutta la Francia.
“Ho sentito dell’sms e dell’invito dell’assassino, la sera della follia, a un complice, perchè portasse “porta più armi”: è difficile immaginare cosa di peggio sarebbe potuto succedere… – continua Canavesi – Dove quell’assassino è stato abbattuto dalla polizia la gente non posa fiori, ma sassi, pietre dell’ignominia che si accumulano in un insolito, grottesco simbolo tombale. Nizza si risolleverà, ma il dolore e la rabbia per tante inutili morti rimarranno per sempre”.
L’avvocato oleggese affida ad un post su Facebook il suo racconto di quella serata, i ricordi di un momento che è durato un attimo ma che è riuscito, comunque, a spazzare via decine di vite: Cristiano era in attesa del piatto ordinato: “Mentre cercavo di collegarmi al Wi-Fi (devo ascoltare la quotidiana lezione di inglese) ho sentito un rumore metallico dietro di me, un fragore insolito che copriva la musica che si diffondeva dal palco dei festeggiamenti, dall’altra parte della carreggiata. Mi sono girato e ho visto un grosso camion, lungo, sembrava un tir enorme, che stava sfrecciando lungo la strada sino a invadere le aiuole che separano l’asfalto dalla passeggiata pedonale. E’ strano, ho pensato, quel camion non dovrebbe essere lì perché l’area è stata chiusa traffico, nessuno può accedervi in auto, è il quattordici di luglio, ci sono i fuochi”.
Nemmeno il tempo di pensare se si trattasse di un ubriaco o di un incidente: con lui c’era Andrea che si alza di scatto e grida a Cristiano: “Corri – grida – alzati, è un attentato”. “A dire il vero tutto il ristorante – osserva l’avvocato nel suo post – tutti sono in piedi e tutti si riversano all’interno del locale, la ragazza cinese si rifugia nelle cucine. Non si sentono spari. Ma potrebbero arrivare entro poco e le cucine sono cieche, sarebbero una trappola. Andrea è con me, siamo riusciti a rimanere insieme e, come molti, ci spostiamo nell’atrio dell’hotel Hyatt: è proprio lì di fianco, vicino al casinò. Il camion intanto non si vede più, è finito sul lungomare, travolgendo vite e persone”. Il primo pensiero è che “quel camion possa esplodere”. Si trova una via di fuga: “Il fuggi fuggi è incredibile, nessuno ha ancora ben capito cosa stia succedendo, ma il desiderio è di andarsene, di allontanarsi il prima possibile dal mare e da quel maledetto camion, perché nessuno può sapere chi o cosa contenga. Non si sentono sirene, non si sentono colpi e questo rincuora. La coscienza così spinge a tornare verso la spiaggia, per prestare soccorso, ma non ce lo consentono. E poi l’istinto è più forte e ci porta, invece, verso la collina, in mezzo a un fiume di persone che pensa solo a fuggire. Sull’angolo di rue de France c’è un poliziotto, è calmo e guardingo, nella mano destra impugna la pistola. Indica di andare via, di stare alla larga”. Cristiano e Andrea riesconoa tornare al loro appartamento: “Dalle finestre di casa sentiamo le sirene che continuano a urlare, lo faranno per tutta la notte. Non abbiamo voglia di uscire di nuovo, ma decidiamo di scendere per raccogliere informazioni; in un bar riusciamo a vedere un notiziario che ci sgomenta e annichilisce. A Nizza quel camion bianco che sferragliava dietro di me ha lasciato sul cemento ottanta morti. Pare anche fosse carico di armi e granate. Risaliamo, avvertiamo i parenti e gli amici che stiamo bene, non riusciamo a capire come ci sentiamo. Vivi, ed è tutto ciò che conta…”.