Dall’ultimo posto in classifica datato 11 ottobre, al penultimo gradino prima della serie A, datato 1 giugno. Dalla vittoria nel derby della svolta, al goal lampo di Lapadula nella semifinale play-off di ritorno, c’è il film del campionato azzurro sotto la guida di Marco Baroni.
La squadra che esonerò il tecnico fiorentino l’anno scorso ad una partita dai play-off e che ora gli ha tolto la finale, si potrebbe confermare punto di una ennesima svolta in carriera. Questo perché, non solo non è detto che Baroni siederà anche l’anno prossimo sulla panchina del Novara calcio, ma perché addirittura allo stato, sembra più probabile il contrario.
Se è pur vero infatti che il tecnico e la società non hanno ancora affrontato il tema, dandosi reciproco appuntamento al post-season, è altrettanto vero che da una parte c’è un presidente che vorrà rileggere bene tutti i momenti del campionato, ad esempio andando ad approfondire i perché di un girone di ritorno a basso rendimento; dall’altra c’è un allenatore il cui lavoro ha destato l’attenzione di diverse piazze (alcune delle quali si dice importanti) e con il contratto in scadenza (30 giugno 2016) Marco Baroni potrà sentirsi assolutamente libero di scegliere l’offerta più interessante.
Di sicuro è dimostrato che Massimo De Salvo non è uomo che ama trattenere chi non palesi totale aderenza al progetto e dimostri tentennamenti, e se come pare, le sirene che tentano il suo attuale tecnico arrivano anche dalla serie A, può davvero essere che Pescara diventi l’ultimo proscenio dell’avventura azzurra a Novara.
Una piazza quella pescarese, che pur confermando le straordinarie qualità della persona, non ha mai nascosto le proprie perplessità sulla mentalità calcistica di Baroni, tesi che a quanto pare, ha fatto qualche proselito anche a Novara.
Non è un mistero infatti, che qualcuno particolarmente sensibile alla metà del bicchiere non completamente riempito, riesca ad interpretare una stagione per molti versi addirittura esaltante, con i toni più ingrigiti dell’occasione perduta, per non dire persino deludente, ripercorrendo la dinamica in calando di una squadra che dal terzo posto di dicembre, è scivolata lemme lemme fino all’ultimo posto dei play-off. I numeri non mentono mai ed in effetti ci restituiscono un Novara bipolare, che mostra due facce diverse fra andata e ritorno, ma che ragionando sulla sintesi, forse e più semplicemente, appartengono alla stessa medaglia, e proviamo a spiegarlo. Fra la vittoria di Vercelli alla 7a ed il pareggio casalingo con il Cesena alla 20a prima di Natale, gli azzurri hanno messo insieme 35 punti in 14 giornate, con 11 vittorie (battute praticamente tutte le big) , 2 pareggi (alla fine del ciclo col Cesena ed col Bari grazie ad una disgraziata autorete di Faraoni al 93′) ed una sola sconfitta (nell’abulica prestazione di Salerno). Tutto ciò, si traduce nella mostruosa media punti di 2,5 a partita.
Qualcuno vuole davvero pensare che si potesse mantenere quel ritmo, o peggio ancora pretendere che quella diventasse la normalità?
Anticipo l’obiezione uguale e contraria, relativa al molto meno nobile andamento del girone di ritorno, che ha registrato una serie negativa di 3 sconfitte iniziali (4 con quella di Modena che schiuse l’anno solare) con una successiva timida serie venuta dopo la vittoria squillante con l’Avellino alla 25a, almeno fino allo squillo di Cagliari, seguito dalle vittorie in serie contro Vicenza e Pescara, con l’Adriatico che torna nuovamente in ballo, come la partita perfetta, contro un avversario fortissimo, anche se non nel suo momento migliore.
Il Novara visto in riva all’Adriatico quel 12 marzo, ritrovava il suo straordinario pacchetto difensivo ed un Viola ispiratissimo, sostenuto da un Faragò divenuto oramai l’asse portante del centrocampo azzurro, a completamento di un recupero di condizione e di equilibrio, derivante dalla lunga pausa di gennaio.
Complice l’esperienza negativa degli anni precedenti, Marco Baroni ed il suo staff infatti, hanno effettuato un forte richiamo atletico, ben sapendo che poteva costare qualche cosa inizialmente,soprattutto sul piano della brillantezza, ma che avrebbe consentito alla squadra di arrivare con un po’ più di ossigeno da spendere da maggio in avanti (cosa che poi si è puntualmente verificata).
L’addio a sorpresa di Poli, e gli infortuni in serie proprio nel reparto difensivo, hanno un po’ tardato il riassetto complessivo, portando la squadra a riprende dei buoni ritmi, a partire proprio da quella che sembrava la proibitiva trasferta di Cagliari, a cui sono seguiti i bellissimi successi con Vicenza e Pescara. S
ubito dopo, le gare contro Bari, Salernitana e Brescia, sono state il vero crocevia fra il definitivo ritorno su regimi entusiasmanti ed invece come è successo, sul parziale ridimensionamento degli obiettivi. Vennero 2 punti in 3 partite, ma neppure i più accesi detrattori di Baroni, potrebbero sostenere che mai risultati sono stati più bugiardi. Contro il Bari, gli azzurri per un’ora hanno letteralmente dominato, sprecando banalmente almeno 5 palle goal, quando poi Maniero ha trovato la rete del vantaggio, sfruttando un calcio di punizione battuto con palla in movimento e per giunta con un fallo invertito, la gara si è indirizzata male, ma certamente la prestazione dei ragazzi di Baroni non si può discutere.
Come non si può discutere il clamoroso rigore (con espulsione) non concesso a Brescia, per il tentato omicidio di Faragò in apertura di partita, in una trasferta difficile che gli azzurri avrebbero meritato di vincere; tanto meno si può definire negativa, la prestazione con cui la squadra stava portando in porto i tre punti contro la Salernitana, prima dello sciagurato omaggio a tempo scaduto. Tre partite e 6 punti sfuggiti che avrebbero probabilmente riscritto anche il finale di torneo, dove però la sfortuna ci ha visto benissimo, togliendo a Baroni alcune delle sue pedine migliori. Il gravissimo infortunio di Faraoni, quello quasi contemporaneo di Dell’Orco, poi Dickmann ed infine la pubalgia di Viola, hanno di fatto impedito al tecnico fiorentino di riassestare la miglior difesa del campionato ed arrivare alle sfide decisive, con un Novara realmente competitivo.
Lo squillo straordinario di Bari, figlio della serata magica di Pablo Gonzalez, ma diciamolo, anche delle debolezze psicologiche e tattiche degli avversari, ci ha un po’ illuso.
Contro il Pescara, indubbiamente la squadra più tecnica e con il più imponente arsenale offensivo della cadetteria, ci voleva il miglior Novara possibile, senza dubbio non poteva bastare una difesa inedita e pure orfana di Troest al ritorno, che ha provato i movimenti difensivi solo a mente, guardando gli appunti di Baroni su un foglio di carta, fra un volo aereo e l’altro. Una cosa è paragonare l’undici titolare azzurro potenziale e sulla carta, ben altra cosa confrontare la rosa azzurra e quella abruzzese. Mentre Oddo infatti, si poteva permettere di scegliere fra Memushaj, Caprari, Benali, Torreira, Lapadula, Pasquato e Verde; il collega novarese (che in panchina aveva Ludi già ai saluti e Viola buono per la firma) poteva al massimo permettersi le staffette Evacuo-Galabinov oppure Lanzafame-Corazza, con l’unica variabile offerta dal misterioso talento offerto dai 5 minuti giocati in stagione da Adorjan. La verità dunque sta nel mezzo, il Novara non era forse quello stellare dell’andata, ma con un pizzico di fortuna e qualche errore arbitrale in meno, poteva essere meglio di quello visto a tratti nel ritorno, il risultato finale è dunque una media fra le due versione, ed un ottavo posto (7 in realtà per punti conquistati sul campo) che forse è davvero quanto era realisticamente lecito sperare da una squadra neopromossa.
Marco Baroni è persona seria e preparata, probabilmente ha fatto anche degli errori, ma ripartendo da queste basi e mantenendo ciò che si può mantenere (almeno l’intelaiatura di base) il Novara del futuro potrebbe continuare a dire la propria nelle zone nobili della classifica, e perché no, con due o tre acquisti ambiziosi persino puntare al bersaglio grosso, sperando che l’eventuale sostituto in panchina sappia ripartire dalle tante cose lasciate dal suo predecessore.
Baroni perché si: Parte dalla conoscenza di un progetto migliorabile. Ha un ingaggio abbordabile. Ha saputo abbandonare il 4-3-3 e dando comunque un’identità precisa alla squadra. Ha valorizzato al massimo giovani come Dickmann e Faragò. Ha indovinato nel chiedere i suoi “pupilli”, vedi Casarini e Troest, realizzando la piena maturità di Viola. Ha portato tre attaccanti in doppia cifra. Ha conquistato i play-off, contro i gufi e la cabala.
Baroni perché no: Non ha trovato un’alternativa valida al 4-2-3-1, ad esempio provando più stabilmente anche la difesa a 3. Si è dimenticato di alcune giovane promesse di proprietà, come Schiavi ma soprattutto Vicari. Il suo Novara sa solo ripartire, quindi ha sofferto le squadra chiuse. Non ha mai completato una rimonta. Ha spesso atteso troppo per effettuare i cambi.