
Villaggio Dalmazia – 1966 – Generazione “0” – Dall’archivio privato dell’autore
Il numero dieci mi ha sempre affascinato. Già dalle aule delle scuole elementari del Villaggio Dalmazia “Nicolò Tommaseo” ( letterato, patriota di Sebenico e…dalmata) vivevo l’ansia di quel numero perfetto che forse solo un paio di volte nel corso del lustro didattico gustai alla pari di una coppa del mondo. Ma se il dieci rappresenta a livello numerologico un fattore spirituale di primaria importanza, una sorta di energia sottile e potente (dall’ebraico “yod”, mano, o dito di Dio nel linguaggio ermetico) latente sino a quando l’individuo non si mette in gioco con l’atto di volontà, allora potremmo attribuire all’undici l’aspetto di un livello raggiunto, di una meta consolidata.
Oggi si commemora l’undicesimo anno del Giorno del Ricordo, evento nazionale che lo Stato italiano ha ufficializzato dal 2004 (Legge 30 marzo) per divulgare al paese e al mondo, la tragedia degli italiani d’oriente che, con una diaspora calcolata nel numero di 350.000 esuli provenienti dai territori dell’istria, Fiume e Dalmazia, cancellava una consolidata quanto fervida comunità.
Non soltanto: l’evento ha un duplice significato, perché mette in luce dalla profondità delle grotte carsiche il massacro che quegli italiani subirono alla fine della seconda guerra mondiale; indicibili barbarie che proprio nel contesto di varie manifestazioni a cura delle associazioni rappresentative degli esuli giuliano-dalmati, verranno “ricordate”, affinché il percorso iniziato undici anni fa abbia continuità, in un ambito non soltanto commemorativo, ma soprattutto culturale.
La comunità del Villaggio Dalmazia di Novara ha già promosso nei giorni scorsi, come consuetudine, una serie di eventi-interventi, che raggiungeranno l’apice proprio oggi, con la santa messa nella parrocchia Sacra Famiglia in memoria dei caduti giuliano-dalmati (ore 11:00), e alla posa di corone in piazza vittime delle foibe, (sempre al Villaggio Dalmazia, ore 12) .
Sembrano passati anni da quando mi sentivo dare dello “jugoslavo”, o addirittura dello zingaro, nonostante fossi nato a Novara. Ricordo ancora di quanto i miei si indignassero quando sulla carta di identità, o qualsiasi altro documento anagrafico il luogo di nascita, veniva erroneamente associato ad un’area territoriale al di fuori del contesto nazionale.
Era motivo di sofferenza sentirsi stranieri in casa, una vera e propria umiliazione, soprattutto per una comunità che viveva la propria italianità come motivo di orgoglio, e sotto tutti i profili.
Una casa d’esilio, Novara, con connotati del tutto diversi da quella originaria, dove la risaia sostituisce il mare, ma pur sempre “casa”.
Casa che ha permesso di ricostruire quell’identità persa e mai dimenticata; casa d’esilio che ha dato alla luce la nuova generazione, che ora ha la gravosa responsabilità di proseguire il faticoso lavoro percorso dai nostri nonni, dai nostri genitori. Personalmente non ho mai risentito di certe dimenticanze o meglio, di“accostamenti” piuttosto azzardati. Sono sempre andato fiero delle mie origini, che restano motivo di vanto.
Spiegare il perché porterebbe troppo lontano, ed è altrettanto semplicistico citare Ottavio Missoni , Enzo Bettiza, Diocleziano, Sergio Endrigo (amichetto d’infanzia di mia mamma che con lui condivideva già il suo talento di cantautore-poeta in quel di Pola), Alida Valli, Laura Antonelli, Giorgio Gaber, Marco Polo, Mila Schön, Uto Ughi, Mario Andretti e altri ancora che sono sì dei “nostri”, ma non è solo questo.
Perché siamo altrettanto fieri di vivere o di essere nati, come chi scrive, in questa nebbiosa e a tratti misteriosa Novara, che ha dato alla luce Umberto Orsini, Pietro Lombardo, Gaudenzio Ferrari, Paolo Beldì, Felice Casorati, Edmondo Poletti, Sergio Tacchini, Renato Bonajuto e altri e altri ancora .
Se siamo sopravvissuti al disastro della seconda guerra mondiale e alle ripercussioni post belliche, se abbiamo resistito tenacemente, nel silenzio, alla pari di quei simboli che rappresentano le nostre identità culturali come la capretta istriana, l’aquila fiumana, i tre leoni di dalmazia, una ragione dovrà pur esserci.
Per uno strano processo sincretico, oggi possiamo affiancare a questi stendardi un nuovo simbolo, quello della rana; un anfibio che in un processo metamorfico, sott’acqua, gradualmente emerge dal limo; così come quel “Ricordo” che emerge indelebile dall’oscurità di quella buia e profondissima grotta carsica chiamata “foiba”. In memoria dei nostri martiri, gli italiani, i novaresi, noi, esuli e figli, “non dimentichiamo”…
Guido Bakota – Flotta Lazzaro Mocenigo 1954 – Eredi Villaggio Dalmazia – Novara
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