Bundì nuares!
La scorsa volta avevamo parlato delle multiformi attività di Giulio Carlo Genocchio, rimasto per molti anni “l’ultimo dei Cinq da Nuara” (titolo che lui accoglieva facendo regolarmente gli scongiuri…). Vediamo ora più da vicino la sua attività come poeta in Nuares.
Nella sua raccolta poetica “Ris e Rani” (1985) si possono leggere la maggior parte delle poesie che scrisse e anche conoscere, attraverso esse, la sua personalità di umorista e la sensibilità profonda verso le cose belle della vita. Per esempio in “Invèrnu al mè paés” (5/1/60) o “Tempuràl d’està” (2/9/60) traspare la sua anima delicata. Invece in “Tì e Mì” (10/3/61) oppure in “Scarnèbia” (3/12/72) risalta il suo romanticismo. Nelle goliardiche “Question d’ intendas”(5/5/70) e “Na tragedia al Còcia”(27/3/72; di gran lunga la più nota tra le poesie in Nuares, tanto che ’l Ginöcc si crucciava di essere identificato esclusivamente con essa) si percepisce la sua grande vena umoristica, che l’ha portato anche a tradurre vere barzellette in “dialetto”, come in “‘Na mama cuntenta”(2/12/73) oppure “La spusa nuèla” (23/6/74). Da ricordare anche che studiò e realizzò i primi giochi enigmistici in Novarese, aprendo una via che da 10 anni viene ora portata avanti regolarmente, in una rubrica su un noto giornale locale, dall’“Academia dal Rison”. Genocchio è stato anche autore di teatro: nel ’92 ha infatti pubblicato “Cula rugna dal sciur Togn” (traduzione del “Sior Todero Brontolon” di Goldoni), mai compiutamente rappresentata, mentre in precedenza aveva scritto il copione di “Vita cunt al Pedar”, portata in scena dalla Compagnia del Gelindu (1985) ma mai edita in volume.
Nel salutarvi e darvi appuntamento al prossimo articolo, vi propongo una poesia che è una specie di preludio delle attività poetiche del grande Ginöcc. Una curiosità: per ammissione dello stesso Genocchio, la data attribuita alla poesia è “un falso storico”. Invito tutti a leggere il libro, che, vi ricordo, potrete trovare in consultazione nella sezione novarese della biblioteca, aperta ogni martedì e giovedì pomeriggio dalle 16 alle 19. Un ampio approfondimento sui rapporti tra Genocchio ed il “dialetto” di Novara è stato pubblicato, a cura di Gianfranco Pavesi, sui numeri 266-269 (settembre-dicembre 2008) di Famiglia Nuaresa. Ciau a tüti!
PRUÉMI
“Càntam, o Mûsa…, forsi igh sùma mìa:
L’è ‘n po’ antich e mia tantu uriginàl
Cumencià ‘n sta manéra ‘na puesìa,
gnanca par un puèta dialetal…
Ma adès che tûti i scriva sensa rima,
(cunt una fantasìa da drumedari),
l’è méj a scriv cum’as faséva prima,
anca a ris-c da passà par antiquari.
“Sû càntam dunca o Mûsa, int una urègia,
i fati, grand o pìcul, qualsissìa,
d’la mè Cità, Nuàra, pòvra vègia,
cunt la Léa, Muntriö, Santa Lûssia,
cunt la Cûpula granda, ch’a sa spègia
dénta i risèri d’la periferìa.
PROEMIO:”Cantami, o Musa…” forse non ci siamo: / è un po’ vecchiotto e poco originale / cominciare così una poesia, / nemmeno per un vate dialettale… // Ma, adesso che tutti poetano senza rima, / (con la fantasia di un dromedario), / è bello scrivere come si faceva prima, / a rischio di passar per antiquario. // ”Cantami, dunque, o Musa, in un orecchio / i fatti, grandi e piccoli, come sia sia, / della mia città, Novara, povera vecchia, // con l’Allea, Monte Ariolo, Santa Lucia, / e la Cupola alta, che si specchia / nelle risaie di periferia. // (23-12-1959) DA “RIS E RANI”, Novara: La Famiglia Nuaresa, 1985.