Leggo che in questi giorni la famosissima Ferrero, produttrice della ancor più famosa Nutella e che ha nella piemontese Crema Gianduja la sua legittima progenitrice, ha deciso di aggiungere, nell’etichetta dei vasetti, una parola in dialetto.
Per fare questo hanno saggiamente consultato degli specialisti in merito. E a questo punto non resta che fare qualche considerazione in materia.
Innanzitutto bisogna ricordare che l’Italiano altro non e’ che il dialetto toscano parlato, prima dell’Unità d’Italia da non più del 2 % del totale della popolazione. Quando a Torino, a Palazzo Carignano, si riunì la prima Assemblea della prima Italia unita, o meglio della Dichiarazione della nascita del Regno d’Italia, il Re tenne il suo discorso, davanti ad una platea di Toscani, Laziali, Calabresi, Siciliani e quant’altro, in Piemontese. Il Re degli Italiani non sapeva l’Italiano. Conosceva esclusivamente il Piemontese e il Francese e in queste lingue si esprimeva. Così pure era per tutti gli abitanti dello Stato Sabaudo e così era anche per molti degli autori e fautori dell’Unità nazionale. Così quando leggete una delle loro dichiarazioni rimaste storiche, sappiate che furono pronunciate soprattutto in francese.
L’argomento dialetti è estremamente complesso e andrebbe lasciato ai glottologi professionisti, ma qualche altra considerazione la possiamo fare. Tutte la grandi dittature della storia hanno sempre tentato di distruggere ciò che di più popolare e tradizionale esistesse. Ceausescu, dittatore rumeno, con la scusa buonistica di dare le case al popolo, distrusse interi villaggi e interi quartieri di Bucarest per cancellare il ricordo di una passata cultura sicuramente diversa e in opposizione all’ideologia imposta dal partito. Il Generalissimo Franco proibiva a Catalani e Baschi di esprimersi nella lingua locale. Il socialista Pujol, capo storico degli indipendentisti Catalani, si fece tre anni di galera per aver cantato una canzone in Catalano di fronte al Generalissimo. Per non parlare del Fascismo che imponeva il “Voi”, detestava i dialetti e, al pari del nazismo, tentava di cancellare ogni segno di storia popolare persino nell’abbigliamento con l’uso della camicia nera o bruna. L’Unione Sovietica rese obbligatorio lo studio della lingua russa negli Stati del Patto di Varsavia.
Se consideriamo questi eventi storici, possiamo capire quanto il potere ideologico e assolutistico fosse infastidito dalle tradizioni popolari. Di cui i dialetti sono parte preponderante.
Paolo Nissotti