Sfrecciando con la mia bicicletta, lungo la ciclabile di Viale Verdi, ho incrociato il manifesto della mostra dedicata a Van Gogh. L’uomo e la terra che aprirà in ottobre a Palazzo Reale di Milano.
Ecco un bel tema: l’uomo e la terra! Soprattutto in una zona come quella novarese così ricca dal punto di vista agricolo ed enogastronomico… e soprattutto rileggendo le lettere di Van Gogh.
Una delle opere più conosciute di Van Gogh è I mangiatori di patate, realizzata nell’aprile del 1885 e oggi conservata nel Museo Van Gogh di Amsterdam. Leggiamo come l’artista stesso ne scrive il 30 aprile 1885 da Neunen al fratello Theo:
Caro Theo,
ti mando per il tuo compleanno i miei migliori auguri di salute e serenità. Avrei voluto mandarti in questa occasione il quadro dei mangiatori di patate ma, pur andando avanti bene, non è ancora finito.
Benché il quadro finale sia stato dipinto in un tempo relativamente breve e per la maggior parte a memoria, mi ci è voluto un intero inverno trascorso a dipingere studi di teste e mani per poterlo fare. Quanto ai pochi giorni in cui l’ho dipinto, è stata una vera battaglia, ho temuto di non riuscirci. Dipingere è anche un agir-créer.
[…] Ho cercato di sottolineare come questa gente che mangia patate al lume della lampada, ha zappato la terra con le stesse mani che ora protende nel piatto, e quindi parlo di lavoro manuale e di come essi si siano onestamente guadagnato il cibo.
Ho voluto rendere l’idea di un modo di vivere che è del tutto diverso dal nostro di gente civile. Quindi non sono per nulla convinto che debba piacere a tutti o che tutti lo ammirino subito.
Per tutto l’inverno ho avuto le fila di questo tessuto in mano e ho cercato il disegno definitivo; e benché ne sia venuto fuori un tessuto dall’aspetto piuttosto rozzo, tuttavia i fili sono stati scelti accuratamente e secondo certe regole. Potrà dimostrarsi un vero quadro contadino. So che lo è. Chi preferisce vedere i contadini col vestito della domenica faccia pure come vuole. Personalmente sono convinto che i risultati migliori si ottengano dipingendoli in tutta la loro rozzezza piuttosto che dando loro un aspetto convenzionalmente aggraziato.
Penso che, più che da signora, una contadinella sia bella vestita com’è con la sua gonna e camicetta polverosa e rappezzata, azzurra, cui il maltempo, il vento e il sole danno i più delicati toni di colore. Se si veste da signora, perde il suo fascino particolare. Un contadino è più vero coi suoi abiti di fustagno tra i campi, che quando va a Messa la domenica con una sorta di abito da società.
Analogamente ritengo sia errato dare a un quadro di contadini una sorta di superficie liscia e convenzionale. Se un quadro di contadini sa di pancetta, fumo, vapori che si levano dalle patate bollenti – va bene, non è malsano; se una stalla sa di concime – va bene, è giusto che tale sia l’odore di stalla; se un campo sa di grano maturo, patate, guano o concime – va benone, soprattutto per gente di città.
Quadri del genere possono insegnare loro qualcosa. Un quadro non deve necessariamente essere profumato. […]
Ecco Van Gogh e la terra: un profondo rispetto per chi lavora e si nutre del proprio lavoro; per chi non dissimula; per chi sa trarre dalla fatica il nostro “pane quotidiano”.